Andy Murray ha finalmente centrato l'obiettivo di tornare ad aggiudicarsi un titolo dello Slam, a distanza di tre anni dall'ultima volta. E ci è riuscito sui prati verdi di Wimbledon, a lungo ossessione per lo scozzese, ora sogno definitivamente tramutatosi in realtà. Già dal sorteggio del tabellone maschile si era intuito che l'idolo casa avrebbe potuto fare strada ai Championships: inserito nella parte bassa del seeding, quella opposta alla zona presidiata da Djokovic e Federer, Murray ha superato la prima settimana in scioltezza, per poi demolire il bad boy australiano Nick Kyrgios in ottavi di finale. Il vero scoglio verso il secondo titolo a Wimbledon si è rivalo essere Jo-Wilfried Tsonga, il francese in grado di recuperare uno svantaggio di due set in quarti e di avere una palla break all'inizio del quinto. Una volta sbarazzatosi di un avversario sempre pericoloso e imprevedibile, Murray non ha avuto problemi con Tomas Berdych e infine con Milos Raonic, che aveva approfittato di un Roger Federer a mezzo servizio per giungere fino alla finale.
Il titolo ai Championships è un premio alla costanza del britannico, ormai stabilmente numero due al mondo e praticamente sempre in finale nei tornei dello Slam e dei Masters 1000 (quest'anno ha vinto a Roma ed è stato sconfitto a Melbourne, Parigi e Madrid) contro Novak Djokovic. Proprio il serbo si è preso una pausa nella sua insaziabile fame di vittorie, cedendo di testa contro il bombardiere americano Sam Querrey, al termine di un match più volte interrotto per pioggia e non disputato sotto il tetto del campo centrale. Un passaggio a vuoto comprensibile per Nole, in particolar modo se si considera lo sforzo prodotto per trionfare per la prima volta al Roland Garros. Non sembrano infatti intravedersi segnali di cedimento nella leadership di Djokovic, che resta il grande favorito per l'intera stagione sul cemento nordamericano (Toronto, Cincinnati e New York).
In questo contesto tecnico e atletico, hanno fatto balzi in avanti Milos Raonic e Marin Cilic, sfruttando i rispettivi servizi sull'erba. Per il croato la delusione di essere stato rimontato da Federer, per il canadese la soddisfazione per essere giunto per la prima volta in una finale di un torneo dello Slam, nella speranza di poterci tornare in tempi brevi. Nonostante tutto, non è stato un'edizione dei Championships per giovani. I tre giocatori più attesi tra gli under 23 hanno infatti parzialmente deluso: Dominic Thiem si è fermato al secondo turno contro il ceco Jiry Vesely, Alexander Zverev è stato regolato al terzo turno dal perdente di successo Tomas Berdych, mentre Nick Kyrgios si è arreso a Murray, di almeno una categoria superiore. Bene invece il francesino Lucas Pouille, issatosi fino ai quarti di finale dopo aver spazzato via anche il redivivo Del Potro, a conferma di un movimento francese che continua a mantenersi al vertice senza però raggiungere le vette di rendimento necessarie per vincere tornei importanti (vedasi Tsonga e Gasquet). Escono con le ossa rotte da Wimbledon l'altro svizzero Stan Wawrinka, apparentemente in parabola discendente, David Ferrer, mai a suo agio sull'erba e ormai gravato dal peso dell'età, e Kei Nishikori, il giapponese dal fisico minuto e di cristallo. Menzione speciale per il belga David Goffin, perfetto fino al terzo set in ottavi contro Raonic, in un match che avrebbe potuto spalancargli le porte quantomeno della semifinale.
Capitolo italiani: un movimento che non mostra segni di vita è ancora aggrappato alla regolarità di Andreas Seppi, mentre Fabio Fognini ha confermato tutti i suoi limiti mentali nel suo incontro di secondo turno contro lo spagnolo Feliciano Lopez, perso in rimonta al quinto set con tanto di ennesimo show messo in piedi nei confronti di arbitro e avversario. Un talento che definire sprecato è riduttivo, perchè l'atteggiamento del ligure non sarebbe accettabile in incontri di circolo, figurarsi sui sacri prati di Wimbledon.