Il giorno dopo la sua seconda vittoria allo US Open, tredicesimo titolo dello Slam in carriera, Rafa Nadal ha concesso un'intervista esclusiva a El Pais, in cui ha ripassato i momenti belli e quelli piú complicati degli ultimi anni. Juan Jose Mateo è uno dei giornalisti piú vicini a Nadal e al suo clan, e ha presenziato quasi tutte le vittorie del tennista maiorchino in questi anni. Riportiamo i passaggi piú interessanti di questa intervista.
“Nessuno mi costringe a giocare a questo livello come Djokovic”, hai detto dopo la vittoria. Ti sorprenderesti nel vedere le immagini dei punti migliori?
Quando mi alleno non posso fare le stesse cose che vedete in un match, per cui è sempre un po’ sorprendente rivedermi. Per esperienza so che quando sto giocando bene, con fiducia e intensità, sono capace di tirar fuori quel colpo in piú nei momenti decisivi, quando c’è molta tensione. In allenamento è impossibile vivere quella intensitá, quell’emozione che ti porta ad andare oltre. Succede a tutti. A Novak, a Federer … Quando giochiamo un torneo e siamo al massimo riusciamo sempre a dare quel qualcosa in piú.
In una partita come quest’ultima finale, con questa intensità e velocità di colpi, si ha il tempo per pensare o si improvvisa?
Naturalmente sí, si ragiona. Quando si gioca con rivali cosí esigenti bisogna avere le idee chiare, poi durante il punto si improvvisa perché non ci sono due palle uguali. Ogni palla è diversa dalle altre. Posso avere in testa l’idea di tirare il drive lungo linea, ma ci sono momenti in cui non posso farlo. È importante variare il gioco, ma sapendo di dover seguire il tuo piano perché altrimenti cominci a perdere campo. In certi momenti (contro Djokovic, ndr) lui spingeva e avevo perso un metro di campo. Alla fine del secondo set e all’inizio del terzo lui stava dominando, perché non sbagliava una risposta e faceva tutto quello che si puó fare su un campo da tennis. Era molto difficile difendersi, e allo stesso modo io credo di aver dominato nel primo set, che ho giocato a un livello altissimo. Ci sono momenti in cui bisogna tenere duro. Con il rovescio per esempio so di non dovergli dare molto angolo e di dover giocare al centro del campo; e ci sono riuscito.
Come definiresti Novak Djokovic?
È un giocatore che riesce a rendere facili le cose difficili del tennis. Cambiare direzione, rispondere in quel modo, colpire la palla in anticipo e stare sempre dentro il campo. È molto, molto complicato, ma lui riesce a farlo con una facilitá incredibile.
E come fai a batterlo?
Per me è piú complicato, ma riesco a fare le stesse cose: faccio piú fatica, ho bisogno di piú intensità e di passione in ogni colpo. E in questo modo riesco anch’io a fare le cose piú difficili, altrimenti non vincerei partite come questa.
Durante la finale ti sei trovato per terra dopo essere caduto. Ti sei alzato immediatamente, come di scatto. Volevi evitare di mandare segnali di debolezza?
Non penso quasi mai all’avversario quando faccio qualcosa del genere, penso a me. Quando mi rialzo cosí velocemente non lo faccio per non dare segnali al rivale, ma per dare a me stesso il messaggio che bisogna andare avanti. Ho perso quel punto, ed è un peccato perché avevo il controllo della situazione. Ed era un momento decisivo. 4-4, 0-30. Non c’è margine di errore. So di dover salvare quel game in qualunque modo. È una cosa personale, e mi dico: “Non è il momento di restare per terra, bisogna alzarsi e continuare”.
Sei virtualmente il n.1 del mondo. Se ce la fai, saranno passati tre anni da quando terminasti la stagione come n.1. Nessun tennista è mai riuscito a farlo. È un segnale della tua capacitá di resuscitare?
Le mie statistiche sono ottime, anche se da molti anni la gente dice che non potró reggere a lungo; ma alla fine sono il giocatore che è riuscito a vincere tornei dello Slam per piú anni consecutivi (nove). Questo significa che il fisico sta rispondendo bene. Questo dato dei tre anni di distanza significa che c’è ancora passione per questo sport. A volte uno ha bisogno di passare momenti negativi per poter reagire. Quello che mi è successo l’anno scorso … non ne avevo bisogno, perché avevo giá vissuto momenti complicati nel 2011 (quando perse 7 finali consecutive contro Djokovic). Nel 2012 ho cominciato con una energia diversa, e giá allora mi sentivo pronto per lottare come ho fatto quest’anno, ma il fisico non me lo ha permesso, ed è una cosa che ti rimane dentro. E sono tornato con tutta l’energia che avevo. A volte tutto quello che hai è “x”, e a volte è “x + molto di piú”. È stato il caso di quest’anno.
L’unico torneo importante che ti manca è il Master di fine anno. Credi che sia possibile vincerlo?
Si puó fare. Ho giocato una finale lí e l’ho persa in tre set con Federer. Ma è complicato. E da un certo punto di vista è ingiusto che non tutti i giocatori possano avere la possibilitá di vincerlo. Si tratta di un premio per quello che uno è riuscito a fare durante l’anno su tutte le superfici. Perché questo torneo deve giocarsi sempre sulla stessa superficie? Mi sembra illogico e un po’ ingiusto. Inoltre ho avuto la sfortuna di trovarmi in un momento in cui il torneo si gioca nelle condizioni piú sfavorevoli per me, in indoor e su un campo veloce. È una sfortuna. Non è il momento di lamentarsi comunque, devo lottare e adattarmi per arrivare pronto al torneo e cercare di essere competitivo.