Nella generazione di giovani piloti sfornati dall'Italia negli ultimi 30 anni circa, difficilmente non si può annoverare il nome di Luca Filippi, pilota cuneese, con una lunga carriera alle spalle e con ancora tanta voglia di far bene e di lottare nelle categorie motoristiche migliori.

Nato a Savigliano, il 9 agosto 1985, dopo una vita a lottare con i piloti più forti del lotto della GP2, il piemontese si è spostato in America ed è sbarcato nella IndyCar, dove dopo un periodo di adattamento è riuscito a farsi conoscere in un ambiente particolare come quello delle corse a stelle e strisce. 

Lasciati gli ovali e gli USA, Filippi è tornato in Europa e dopo qualche mese di stop è arrivata la chiamata in quello che è lo sport motoristico del momento, la Formula E, a cui tutti guardano e di cui tutti parlano, sia nel bene che nel male. In questa prima stagione, il pilota di Savigliano corre con la casa cinese della NIO, che è all'esordio in Formula E. Ed ecco che, dopo un campionato di F3000 italiano, 7 vittorie in GP2 e due secondi posti nella classifica, davanti a Luca Filippi si è aperta questa nuova, interessante sfida. 

E proprio per parlare della sua nuova carriera, ma anche del passato e delle soddisfazioni raggiunte fino ad ora, Vavel Italia ha raggiunto Filippi, anche grazie al suo manager Gianpaolo Matteucci, manager tra gli altri di Luca Ghiotto e Sergey Sirotkin

 

Salve Luca, grazie per aver accettato la nostra proposta per questa intervista! Iniziamo dal principio, ovvero dai tuoi esordi. Come ti sei avvicinato al mondo dei motori e come sono stati i primi anni nel motorsport?
In famiglia siamo tutti amanti delle corse. Mio nonno ai suoi tempi correva nei rally, nei primi rally con le auto stradali, poi mio padre e mio zio hanno proseguito, correndo anche loro nei rally, disciplina molto amata da noi in Piemonte. Io ho iniziato con i go-kart, uno dei primi amori da bambino, da lì in poi è iniziato a diventare tutto sempre più serio e devo ammettere che sono stati gli anni più belli quelli nei kart.

                                                                   

Nel 2005, poi, la vittoria nella Formula 3000 italiana che ti ha aperto le porte alla GP2, com’è stato vincere quel titolo e approdare subito in una categoria di spicco come l’attuale F2?
Il 2005 sì, è stato l’anno della svolta, in cui ho capito che le gare e il motorsport potevano essere la mia professione. Perché la F3000 è la prima categoria importante, con tanta potenza ed è proprio in queste categorie che capisci se hai del potenziale e con le 3000 è stato amore a prima vista. Successivamente la Gp2, di cui sono stato anche vice-campione, è una categoria che mi ha dato tantissimo, tante gare, tante pole e tanti rivali forti che ora corrono in F1, in Indy, in Formula E…

 

Proprio alla fine del 2005, poi, hai avuto la possibilità di testare una Minardi, nell’ultimo test della loro storia in F1. Cosa hai provato in quei momenti?
Si, è stata un’emozione incredibile, in più la vettura andava fortissimo, aveva tantissimi cavalli, poi con i vari aiuti elettronici sembrava un missile, tu acceleravi, giravi e la macchina faceva esattamente tutto quello che tu le ordinavi di fare. In più avevo solo 18 anni ed è una delle pietre miliari della mia carriera e della mia vita da teenager.

 

Dal 2006 al 2012, poi, sei stato uno dei pilastri della GP2 Series, dove hai raccolto 6 vittorie, numerosi podi e un secondo posto iridato nel 2011, alle spalle di Romain Grosjean. Dei tuoi 7 anni in GP2, cosa ricordi con piacere?
Della GP2 ricordo tutto con piacere, perché è stata una fase molto importante della mia vita. Sono arrivato che ero un ragazzino veloce, ma ancora acerbo, poi ho avuto la mia maturazione e ho tanti ricordi davvero belli. Il 2007 è stato un grande anno, con la mia prima vittoria, i duelli contro piloti forti, come Di Grassi, Glock. Chiaramente è stata una bella stagione, come il 2009 quando ho battuto rivali come Hulkenberg e in più c’era anche la Gp2 Asian, dove – ad anni alterni – trovavi avversari competitivi, sono arrivato secondo nel 2010. L

La stagione 2011 la ricordo con grande affetto, perché sono arrivato 2°, ho vinto tante gare, fatto tanti punti specie nella seconda parte di , con un team come Coloni che è un amico ed è una cara persona. Sono tanti i ricordi che mi rimarranno sempre nel cuore, è una categoria in cui mi sono adattato particolarmente bene.

 

Nel 2008, inoltre, la Honda decise di nominarti come test driver del team. Come fu quell’anno con i nipponici, per te?
Si, sono stato nel 2006 e 2008 collaudatore per la Honda, peccato che si sia ritirata a fine 2008 in maniera definitiva, perché il mio era un contratto a lungo termine ed è stata una batosta, avevo un futuro già programmato e con la chiusura ho dovuto rivedere i miei programmi. Nonostante ciò, è stata un’esperienza fantastica, sono stato collaudatore ufficiale, tanti test, tanti chilometri e tanta esperienza accumulata. Non ho mai corso in F1, ma essere già collaudatore è una grande soddisfazione.

 

Finita l’avventura in GP2, sei approdato oltreoceano e per quattro stagioni hai partecipato alla Indycar Series, ma sembra che l’amore con questa categoria non sia mai sbocciato. Cosa hai trovato di diverso rispetto alle competizioni europee? E dal punto di vista tecnico, cosa cambia tra una monoposto come le vecchie Gp2 e le Indycar?
In realtà, con la Indycar l’amore è sbocciato eccome, anche ora ne sono innamorato, perché è una categoria competitiva, divertente, perché le corse americane rappresentato un palcoscenico importante, che amo per mille motivi, come lo show, la mentalità… tutto. In Indycar, la difficoltà è stata più che altro dal punto di vista economico, che non riguarda solamente me, ma tutto il movimento Indy, che fatica ad ingranare fuori dagli USA e al momento è una categoria orientata maggiormente per i piloti statunitensi. Per quel che mi riguarda, quando ho conquistato il mio primo podio in Indycar ho vissuto una grandissima emozione, in una gara che potevo vincere. Nel 2015 ho vissuto una grande stagione, ma è stata una bellissima parentesi, ma non è detto che in futuro non ci possa tornare. Dal punto di vista tecnico, la differenza è minima, sono leggermente più potenti e più pesanti, ma la vera differenza riguarda la diversa mentalità.

 

Dopo qualche mese di stop, tra 2016 e 2017, ecco la chiamata della NIO in Formula E. Quando sei stato contattato da loro per un test, cosa hai pensato?
Si, è arrivata l’opportunità con la FE, alla quale stavamo guardando già con interesse, anche per via dei costruttori importanti che si stavano affacciando alla categoria. Ormai sono tanti, quindi chiaramente è una categoria di alto profilo, che per noi era molto interessante. NIO è una realtà emergente, è un costruttore cinese che lavora sul mercato del Full-elettric.

 

Dopo sei gare, in cui sei stato anche sfortunato, hai un solo punto in classifica. Cosa pensi ci voglia per raggiungere dei risultati stabili? Che obiettivi hai tu e la NIO per questa stagione?
A livello di team abbiamo margini di miglioramento, che entro fine anno ci porteranno ad avere come obiettivo la Top10 fissa, così da portare a casa anche punti pesanti.

 

Rispetto alle monoposto che hai guidato in passato, com’è stato trovarsi a bordo di una vettura elettrica?
La vettura elettrica è diversa dalle altre, perché ha una guida un po' differente, in più il fatto che rigeneri energia in frenata sull’asse posteriore cambia un po' la guida. Interessante l’approccio tecnico, che durante la guida ti porta a lavorare molto sui comandi al volante, quindi posso dire che è una categoria molto completa e particolare, in cui il pilota deve fare uno sforzo sia fisico che mentale.

 

Dopo questo primo approccio cosa ne pensi di questa categoria, che da molti viene considerata come innovativa?
Penso sia innovativa, senza dubbio, e anche diversa dalle altre, proprio perché ha una sua mentalità e una filosofia propria e questa è la cosa bella, perché la Formula E non è una categoria alternativa, è una cosa a sé stante, con una propria identità, come dimostra la nuova vettura, uscita da poche settimane. Una vettura unica nel suo genere, che punta sull’efficienza aerodinamica e sul risparmio energetico.

 

Dal punto di vista della preparazione, come ci si prepara per un campionato di FE? Inoltre, come vi allenate per i pit-stop, che sono sempre dei momenti critici?
In FE c’è un lavoro dietro le quinte non indifferente, molto più di quanto si pensi. Non al livello della F1, ma poco ci manca, ogni team è composto da tante persone, tra tecnici, meccanici, addetti alla ricerca e sviluppo e si arriva ad un numero davvero considerevole. I costruttori devono fare dei grandi sforzi per sosterenere i costi. Dal punto di vista delle gare, i pit sono particolari, anche perché il cambio vettura non si fa in nessuno sport, perché la particolarità è che qui cambia la vettura non il pilota, ci si allena, più che si può, sia durante i week-end di gara, sia nei Workshop. I momenti critici sono quelli in cui si deve gestire l’energia, spingere, ma senza rimanere a secco.

 

In ottica futura, quali sono gli obiettivi a lungo termine di Luca Filippi?
In ottica futura voglio raggiungere il prima possibile il primo podio in FE e poi una vittoria, che sarebbe bella, ma prima della fine della stagione, l’obiettivo è il podio.

 

Grazie mille Luca, in bocca al lupo per il resto della stagione e per tutti i tuoi obiettivi futuri!
Grazie di tutto, crepi il lupo, a presto e Grazie mille!

 

Articolo ed intervista realizzata in collaborazione con Oreste Sicilia 

 

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