“Bernie Ecclestone, che è un amico, quando gli dissi che mi sarei speso per il progetto della Formula E mi disse che ero pazzo, ma dopo il primo Gran Premio a Pechino ci ripensò ed ammise come si fosse sbagliato”. Queste parole sono un estratto di quanto dichiarato da Alejandro Agag, fondatore del progetto Formula E in occasione della presentazione del ePrix di Roma, che andrà in scena nella capitale d’Italia il prossimo Aprile.
Ma come tutte le innovazioni, all’inizio fanno paura, provocano scetticismo e per onestà intellettuale ciò è avvenuto anche nella mente di chi vi scrive. Perché per quanto il mondo stia cambiando, in particolar modo nell’ambito della mobilità, in cui tutti se possono risparmiare degli euro in benzina a favore dell’elettrico non avrebbero difficoltà a scegliere, ma il fatto di vedere tutto questo contestualizzato all’interno di una competizione, di un Campionato del Mondo, beh faceva pensare non poco.
Probabilmente per l’ottima strategia commerciale “open” che pare stia prendendo solo adesso piede nella più blasonata Formula 1, in soli 3 anni ha richiamato interesse non solo dal pubblico ma anche da grandi costruttori che vogliono sfruttare questa vetrina per buttarsi in questa sfida tecnologica.
E’ infatti ancora “fresca” la notizia per cui la Porsche, sacrificando l’impegno nel WEC, ha ufficializzato la partecipazione alla massima competizione automobilistica elettrica dalla stagione 2019-2020, seguendo quanto già fatto dagli altri costruttori di riferimento tedeschi come Audi, Bmw e Mercedes. Per la casa di Zuffenhausen, che al Salone di Francoforte del 2015 aveva presentato una concept car a quattro posti come “primo mattone” di vetture stradali alimentate a batterie.
Probabilmente la strategia tecnica vincente che sta richiamando diversi costruttori a questa competizione è, a detta di uno degli esponenti del Consiglio d’Amministrazione Michael Steiner, il fatto di poter sviluppare un numero crescente di tecnologie interne, ovvero una sorta di palestra tecnologica. I colossi tedeschi si aggiungono ai vari Renault, Mahindra, Citroen-DS e Jaguar. Va inoltre registrato il forte interesse dei giapponesi attraverso Nissan mentre manca ancora all’appello il gruppo FCA, che nel mondo delle competizioni significa Ferrari e Alfa Romeo, con il Presidente Marchionne che ancora non ha sciolto completamente la riserva in questo proposito. In questo modo Alejandro Agag sta riuscendo nell’intento di creare una vera competizione tra costruttori, cosa non riuscita alla FIA attraverso l’imposizione della tecnologia ibrida in Formula 1 che, al momento, presenta solo tre costruttori (nel verso senso della parola).
La rapidità del successo di questa competizione va di pari passo con la velocità di questa tecnologia. Infatti, già nella stagione 2018-2019, che rappresenterà il quinto campionato del mondo di Formula E cambieranno molte cose, soprattutto a livello tecnico. Le monoposto saranno più aggressive, sempre costruite da Dallara e Spark, con motori dalla potenza quasi raddoppiata (ad oggi sono a circa 270 CV) ma soprattutto con batterie sviluppate dalla Mclaren Technology che consentiranno di disputare un’intera gara senza che il pilota debba cambiare vettura.
In tutto questo, l’aspetto positivo che porta i costruttori a finanziarsi per questa competizione è la relativa “economicità” rispetto alla più blasonata Formula 1. Conti alla mano, una stagione di Formula E costa tra i 15 e i 20 milioni di euro, al contrario degli oltre 400 necessari per la massima competizione automobilistica. Se a questo associamo l’ottima strategia commerciale più improntata alla visibilità, con gare svolte nel centro storico delle città, questo ha richiamato diversi ed importanti sponsor che hanno dato buona linfa al progetto. Dunque Agag è riuscito nell’intento di convogliare gli interessi “sociali” verso questa tecnologia, quelli dell’industria, della tecnologia in senso stretto e dei finanziatori.
Forse c’è da imparare.