Quali emozioni si provano a gareggiare nella 500 miglia di Indianapolis? Soprattutto come ci si sente dopo averla vinta all'esordio? Non potremo più chiederlo a Graham Hill, che da 40 anni non fa più parte di questo mondo. L'alternativa sarebbe provare a rivolgere la stessa domanda a Juan Pablo Montoya, capace di ripetere l'impresa del sopraffino campione inglese nel 2000. Al colombiano si potrebbe anche chiedere se si sarebbe mai aspettato di fare il bis ad Indianapolis 15 anni dopo?
Ne è passata di acqua sotto ai ponti in questo arco di tempo. Dopo il primo trionfo ad Indy Montoya tentò il grande salto nel Circus della Formula Uno. Purtroppo però ingoiò tanti bocconi amari sia in Williams che in McLaren. Le soddisfazioni e i successi furono assai pochi, solo 7 e dopo 2 terzi posti nell'iride 2002 e 2003 peggiorò il suo rendimento. In questo modo deluse quelli che l'avevano visto come il principale antagonista di Michael Schumacher. Non gli andò meglio neppure nelle Nascar, dove raccolse appena 3 vittorie tra Sprint Cup e Nation Wide Series. Eppure al colombiano la passione per le corse rimase, ciò lo spinse a continuare a gareggiare. Possiamo dire che Enzo Ferrari azzeccò il titolo del suo libro: "Piloti che gente". Infatti chi te lo fa fare di rischiare ancora girando in tondo su una pista alla soglia dei 40, con una moglie e 3 figli?
Parafrasando Laura Pausini "questa benedetta passione". Montoya magari non avrà più l'irruenza e la velocità della gioventù, ma con gli anni è migliorato nella lettura tattica di una gara. In questo modo è riuscito ad operare il sorpasso decisivo e la fuga verso la vittoria nelle fasi finali, a pochi giri dalla conclusione. Impossibile spiegare il fascino che risiede nel baciare la Brickyard dopo il trionfo. Indianapolis è la capitale mondiale delle corse automobilistiche. Ecco perchè conta così tanto vincere. Paul Newman interpretò il film "Indianapolis pista infernale". Ieri invece è stata il Giardino dell'Eden in paradiso per Montoya.