La ferita è ancora aperta, lo squarcio emotivo e temporale fa capolino ovunque inondando un presente che profuma di passato, glorioso e drammatico come una commedia Shakespeariana. La ferita è aperta ma il demoniaco serpente della finta moralità passeggera colora il sangue di nero, macchiato dall'infantile retorica, offuscato dalle parole fangose estrapolate da piccoli nani da giardino. Giganti di polvere, invisibili alla stessa esistenza, preceduti da quell'alone sporco che divora la bellezza che, anche nei momenti tragici, riesce ad emergere. Sovrastando le arrugginite perversioni e deviazioni mentali, accantonando l'eco delle stridule voci.
La retorica troppo italiana che porta a confondere, mescolare argomenti diametralmente opposti, infilando argomentazioni povere come lo spirito di chi le ingurgita. C'è la storia che pone dinanzi un momento di riflessione e di tristezza, c'è una parte di mondo paralizzato emotivamente dalla scomparsa di Diego Armando Maradona, la salita del più grande attraverso l'oceanica autostrada che lo aveva già eretto a Dio in ogni angolo della Terra: da Villa Fiorito fino a Napoli passando per Buenos Aires, nel mezzo il globo.
La pubblica ottusità dei tristi mercanti di bugie e di invidie, pronti ad accollarsi l'invisibile peso di una critica spoglia, di una nota stonata in un momento in cui non viene richiesta un'opinione, in un momento in cui il giudizio dovrebbe allontanarsi come due amanti alla stazione. Siamo le scelte che facciamo, siamo quello che lasciamo e ciò che sta accadendo da 48 ore dovrebbe fungere da risposta ai benpensanti, ai moralisti travestiti da cavalieri della santità, dai portatori del giudizio, da coloro i quali sentono il bisogno di gettare fango dovunque colmando lacune piuttosto gradi nelle loro tiepide esistenze, divorate dalle sabbie mobili.
In sottofondo c'è una canzone dei Rolling Stones, Mick Jagger divora il microfono accedendo una fiamma sotto un cucchiaio, per ammazzare il tempo e visioni celestiali. Poi un'altra traccia campeggia nel mangianastri del tempo che fu, è un assolo eterno di Jimmy Hendrix mentre quella chitarra disegna armonie e luoghi, buchi da evitare luoghi infidi. E' un fluido che unisce l'essere tale, l'essere se stessi, come un'infinita coreografia di un concerto dei Pink Floyd. Un altro mattone nel muro, un altro giudizio non richiesto nei confronti di chi esempio non voleva esserlo.
Siamo noi a scegliere gli esempi, non sono loro che vengono a cercarci. E' la capacità di non essere uguali e omologati, la straordinarietà di essere Rockstar del tempo, fragili e potenti mentre una tristezza intrinseca cresce. Il pubblico applaude sfregandosi le mani, il pubblico dilania il suono chiedendo la standing ovation all'idolo, che spesso trascende lo stesso dividendosi in molte entità. Diego Maradona, il Dio di se stesso e l'entità pagana che ha scelto di non essere esempio, che ha osato e rischiato pagando il tutto sulla sua pelle. Ha diviso e unito, ha accorpato emozioni, sensazioni e uomini. Ha regalato l'abbraccio simbolico tra Boca Juniors e River Plate.
Janis Joplin paragonava un concerto ad un enorme amplesso tra lei e il pubblico, dimenticando per un preciso lasso di tempo gli occhi indiscreti e le facce spente di protagonisti di una vita buia, senza sbocchi che possano regalare felicità istantanea. Siamo quello che lasciamo e non c'è nessun giudizio che tenga. Nessun antagonista del vivere che possa cancellare un ricordo immenso, che possa cancellare ciò che ha rappresentato e ciò che rappresenterà sempre Diego Armando Maradona.