Distillare determinate parole, in un contesto che richiederebbe il silenzio catartico, è tremendo ma doveroso. E' un silenzio quasi sbiadito, come un vecchio fotogramma che avvolge un bimbo di dieci anni mentre palleggia nella polvere, come se fosse un astronauta al chiaro della Luna del Sud. L'obiettivo è fermo sui suoi occhi malinconici, scoperchiati dai ricci ribelli e da due promesse futuristiche, dislocate dai sogni presenti nel contesto di un posto dimenticato dall'onnipotente. 

Lo sguardo di Maradona trafigge qualsiasi tipo di emozione, anche la più lontana, rispolvera ricordi mentre il mondo lo celebra nel giorno della sua ascesa al trono, il suo. Maradona è stato e non c'è nulla di più vero all'interno di una frase quasi retorica ma dai distorti ed epici significati. Oltre il qualunquismo e la fiera della noia, Maradona ha percorso le curve della frenetica esistenza senza frenare, senza scrutare il lato opposto della strada oscura e selvaggia. Maradona ha rappresentato la perfezione dell'imperfezione, l'incanto divino, un gesto soprannaturale e la romanzesca coesistenza delle notti brave e delle albe svogliate, nell'affannosa ricerca della libertà.

Dalla polvere all'oro, dal nulla al tutto mescolato con il niente. Maradona ha viaggiato di pari passo con la follia, distruggendola con quella luce totalmente inspiegabile all'occhio umano, inarrivabile per la razionalità. Inarrivabile, già, come quel pomeriggio messicano di 34 anni fa: il globo terracqueo ai piedi di un omino basso e tozzo in grado di sbeffeggiare ed ammaliare, di sterzare e controsterzare bruciando la candela da entrambe le parti. Il bianco, il celeste e l'oro di un trionfo promesso ad un popolo, di uno status da Re Mida in un momento in cui solo un'entità poteva avere il privilegio di osservarlo dall'alto. Probabilmente gli avrà già restituito la mano nascondendo le dita.

Maradona ha rappresentato la rivoluzione, il tramonto della normalità applicata ad un singolo istante, la ribellione dei vinti e degli emarginati, coloro i quali combattono ogni singolo giorno per non essere più tali. Il figlio di Napoli, il micro cosmo che dalle 17.20 di ieri non smette di piangere, di cantare di adorare e di glorificare il signore Dio suo. Trino e umano, in grado di elevarsi ad altezze funamboliche e, allo stesso tempo, di precipitare negli angoli più bui ed angusti che la frizzante esistenza possano garantire. Un capo-popolo, un bambino di Villa Fiorito pronto a battagliare, a fregarsene del politically correct e dei benpensanti seduti sulla poltrona della noia.

Maradona, il Dio pagano eternamente sospeso tra fango e stelle, dalle luci accecanti del suo stadio all'oscurità di ogni singola situazione che l'ha portato oltre la soglia di sopravvivenza. La spia accesa infinite volte e spenta con un gesto senza pari, come una serpentina, come un gol da centrocampo senza nemmeno voltarsi. Come quei 240 secondi di Life is Life, il ritratto della felicità applicata al gioco più bello del mondo. Maradona ha diviso e unito, Maradona ha rappresentato il riscatto, la possibilità di essere qualcuno nonostante il destino ti porti a nascere in un posto quasi favolistico e lugubre. 

Maradona ha scavalcato il fato ribaltando le gerarchie di un mondo comune, è caduto mentre tutti desideravano che stesse in piedi quasi per moto, come se il tutto fosse scontato. Maradona si è fatto voler bene anche da chi decantava il suo male, da chi non lo ha mai visto e ora divora filmati e VHS per scrutare ed emozionarsi. Ripercorrendo l'amara nostalgia di tempi non vissuti, di miti ed eroi incastonati nel tempo e protetti da quell'aura leggendaria. Inarrivabile per ogni singolo essere umano.

Maradona è stato il più umano tra le entità terrene, la poesia e l'epica miscelate dalla polvere e dalla notti lunghe, infinite. Maradona rappresenta qualcosa di più grande del singolo, rappresenta un movimento che solo ora stiamo cominciando a comprendere. Mentre i lumini rossi fanno capolino davanti agli innumerevoli murales sparsi tra Napoli e Buenos Aires. Mentre le parole lasciando spazio all'ultimo viaggio dell'aquilone cosmico, verso il suo mondo. Resta il silenzio di un vecchio fotogramma, restano gli occhi di quel bambino che continua a palleggiare nelle polvere. Resta quella promessa futuristica: "Tengo dos sueños: jugar una copa del mundo y ganarla". AD10S Diego.