Un palmares di tutto rispetto, una grandissima carriera e maglie di squadre importantissime (Barcellona e Inter su tutte) indossate nel corso della propria avventura nel mondo calcistico; si parla di Thiago Motta, italo-brasiliano ritiratosi a seguito della sua ultima avventura con il Paris Saint-Germain. Ricordi dolci, dolcissimi, allietano la mente dei tifosi dell'Inter che non possono non associare il volto, le movenze, i gol e gli assist dell'ex numero 8 nerazzurro come a un insieme di elementi che hanno portato l'Inter sul tetto del mondo e d'Europa. 

Ha parlato in una lunga intervista proprio Thiago Motta presso "Gazzetta dello Sport". I temi affrontati sono tanti, tra cui proprio ciò che concerne il suo addio al mondo del calcio: "Smettere di giocare è la cosa più difficile al mondo per un calciatore. Ma io sono stato fortunato, perché appena chiusa la carriera sono andato subito a Coverciano e poi ho iniziato ad allenare. Non ho avuto il tempo di pensare. Mi avevano avvertito tanti ex compagni: 'Thiago il primo anno è un incubo. Non sai che fare, ti manca tutto'. Ma io l’uscita di scena l’ho programmata prima. L’ultimo contratto l’ho firmato a metà tra calciatore e allenatore. E ho deciso di chiudere quando ero ancora al top".

Ora l'ex centrocampista della Nazionale allena nel settore giovanile del Paris Saint-Germain e le sue idee sul tipo di calcio che ogni sua squadra dovrà esprimere sono chiare: "Offensiva, d’attacco. Una squadra corta, che imponga il gioco, pressi alta, sappia muoversi insieme, con e senza palla, affinché ogni giocatore abbia sempre tre-quattro soluzioni e un paio di compagni vicino pronti ad aiutarlo. Puoi essere super offensivo con il 5-3-2 e difensivo con il 4-3-3 - continua l'ex Barcellona - Dipende dalle qualità degli uomini e dall’atteggiamento. Ho visto un fenomeno come Eto’o fare anche il terzino, dando un esempio che fu il segreto dell’Inter del Triplete".

Una domanda riguardante il miglior collega in circolazione: "Chi è oggi l'allenatore migliore? Guardiola, è il re del gioco. Ma ammiro molto Zidane. Mentre tra quelli che mi hanno allenato Ancelotti è stato il top".

Senza farsi mancare un appunto e un dolce ricordo riguardante l'attuale allenatore del Napoli: "Arrivai direttamente dalla Pinetina al centro sportivo del Psg, vestito con quello che avevo: un paio di pantaloni con il cavallo basso, alla turca, che andavano di moda all’epoca. Carlo mi vede, e fa: 'Hai firmato?'. Io risposi: 'Sì mister'. E lui mi disse: 'Allora adesso ce li hai i soldi per comprarti un paio di pantaloni decenti?'. Lui è sempre positivo, disponibile, sereno. Non pone barriere, sa far sentire tutti importanti. Quando mette uno fuori è il primo a essere dispiaciuto e pensa subito al suo recupero. Ma quando Carlo si arrabbia crollano i muri. Una volta contro l’Evian... no, non posso raccontarlo. Ma chiedete a Ibra".

Il suo giudizio su José Mourinho: "Un vincente. Nel senso che lui in testa ha solo un obiettivo: vincere. Non gli interessa lo spettacolo. Mourinho ha due facce: una felice quando vince, una arrabbiata quando perde. Il suo umore cambia in base al risultato".

La sua favorita riguardante la futura vincitrice dell'attuale edizione della Champions League: "Cinque squadre: il Barcellona, il Real di Solari, il City che è la squadra che gioca meglio, il Psg e poi la Juve di Ronaldo. In finale la Juve c’era già arrivata. Gli serviva il giocatore che le finali le decide e le fa vincere. Lo ha preso".

E un giudizio che non ti aspetti riguardante la Serie A: "La Juve non deve diventare una scusa per le altre: non vincerà per sempre. Nessuno lo fa. Smetterà. E credo che sarà l’Inter a interrompere questa monarchia"