Nel primo festival dello sport targato gazzetta e con al centro il tema del record non poteva mancare, ovviamente, Paolo Maldini. Ad intervistarlo, sul palco Dell auditorium di Santa Chiara di Trento, G. B. Olivero.
"Sono stato sempre innamorato della palla, non mi piaceva mai buttarla via. Forse è stato papà a darmi questo esempio". Il paragone con Cesare, mai stato per lui fonte di pressione ma solo di stimolo a far meglio, per aspirare sempre al massimo. Ben 6 coppe su 7 portano il nome della famiglia Maldini ma alla domanda su questo particolare "record di famiglia" l ex capitano rossonero replica di preferire le vittorie di squadra a quelle del singolo.
Poi un consiglio per i giovani d'oggi, quello di non perdere mai la rettitudine nei comportamenti, di non scindere mai il lato calcistico da quello umano.
Il discorso si sposta poi verso gli allenatori più importanti della sua carriera: Sacchi, il più maniacale di tutti, Capello e Ancelotti. Paolo ricorda anche Liedolm: "È stato lui il primo ad insegnarmi a giocare, ha lanciato molti giovani importanti".


Sullo schermo scorrono le immagini di molte vittorie, da quella più inaspettata contro il Barcellona fino a quella più recente, nel 2003, contro la Juventus. Poi, i ricordi felici lasciano spazio a quelli che lasciano l'amaro in bocca. Istanbul è una di quelle serate che nessuno potrà mai dimenticare. Maldini segna il goal più veloce della storia della Champions ma il suo Milan si fa rimontare di tre reti in uno dei match più pazzeschi della storia del calcio.
"Sai, quella lì è stata una delle sconfitte più brutte della mia carriera. Il calcio come la vita, però, ti dà sempre una seconda opportunità". Sappiamo tutti cosa successe due anni dopo ad Atene. Paolo alza la quarta Champions in carriera all'età di trentanove anni.
Spostandosi verso il tema nazionale dichiara di avere solo bei ricordi, nonostante le vittorie non siano state neanche lontanamente paragonabili a quelle di club.
"È bellissimo giocare per il tuo paese, quando eravamo in semifinale mondiale contro l'Argentina, in casa, riuscivi a sentire delle sensazioni e delle emozioni che tutt'ora, a ripensarci, mi vengono i brividi".


Poi il ricordo di USA 94 e infine, quello indelebile dei mondiali in Corea nel 2004.
"Quella si, è di gran lunga la partita più triste della mia carriera. Non avrei mai pensato di dire addio così alla nazionale. Al rientro a casa sono scappato via quindici giorni alle Maldive con la mia famiglia per non pensarci. A livello calcistico è stato il momento più difficile della mia vita. "
"Non era destino, continua Paolo, "vincere in azzurro. Ma va bene così."
Sul dualismo Messi Ronaldo, il milanista preferisce il primo e vede Totti, Maradona e Ronaldo ("il fenomeno") come i calciatori più forti che abbia mai incontrato.
Su Gattuso non si sbilancia ma lo vede cresciuto molto come allenatore, sia a livello tecnico che tattico. "Piena fiducia a Rino. Ormai non è solo più l'uomo tutta grinta, è cambiato molto. Ha la grande capacità di saper ascoltare e sa trasmettere ai giocatori un gran senso di appartenenza alla maglia e alla storia del Milan".
Alla domanda su Paquetà, nuovo acquisto del Milan risponde: "È un giocatore di grande talento ma il mercato è chiuso fino a gennaio quindi è ancora tutto da vedere".
Sulla sua nuova vita da dirigente è felice come è felice del rapporto con Leonardo, con cui condivide l'area sport. "È stato Leo a chiamarmi quest estate per dirmi di tornare al Milan. Ne abbiamo parlato e in cinque minuti ho dato la mia piena disponibilità".
"L'obiettivo, per questi tre anni, è quello di tornare nell'Europa che conta, non lo nascondo".
Sul finale, i riflettori sono tutti puntati sul derby in programma la settimana prossima.
"Vogliamo vincere. Dobbiamo rimanere assolutamente il più possibile attaccati alle prime quattro".
La conferenza si chiude con il ricordo e l'immagine insolita di un tram, quello che il piccolo Paolo inseguiva sulla strada verso l'oratorio per provare a batterlo sul tempo.
Il suo numero 3 è stato ritirato, forse perché l'ex capitano rossonero rappresenta l'immagine di un calcio che ormai non c'è più.
Un simbolo, un icona, un esempio da seguire.
Grazie Maldini, non per i record, non per le vittorie ma per quello che sei, un grande uomo prima che un grande calciatore.