Finché la barca va, lasciala andare. E c'è una barca, nel mare del calcio italiano, che in questo momento sembra inarrestabile, che viaggia verso i propri obiettivi, fissati molto più in alto rispetto a quelli che, ad inizio stagione, sembravano poter essere raggiunti. La Lazio di Simone Inzaghi volge lo sguardo al futuro, sempre più roseo, dopo una annata ben oltre le migliori aspettative: finale di Coppa Italia conquistata, quarto o quinto posto sempre più in cassaforte e lotta per la qualificazione in Champions League tutt'altro che chiusa. Alzi la mano chi se lo sarebbe aspettato dopo una turbolenta estate. 

L'ultima tappa di questo esaltante viaggio si è consumata ieri sera, all'Olimpico, nella gara di ritorno delle semifinali di Coppa Italia. Dopo il confortante 2-0 dell'andata, la Lazio ha dimostrato che il cammino era decisamente in discesa, confermando le sue potenzialità a campo aperto, con la Roma che ha concesso fin troppi spazi alle scorribande di Felipe Anderson ed Immobile. Inzaghi l'aveva preparata esattamente così, mettendo in conto la sofferenza iniziale, alla quale uno stoico De Vrij ha quasi sempre messo una pezza, in compagnia degli attenti Bastos e Wallace, per poi punzecchiare in contropiede. Detto, fatto.

La Roma ha iniziato con il passare dei minuti a perdere pazienza e lucidità, mentre la Lazio, forte del suo vantaggio, mentale ed oltremodo fisico, ha legittimato il punteggio approfittando cinicamente delle occasioni che la retroguardia giallorossa offriva: i biancocelesti hanno conservato preziose energie per poi punire le disattenzioni dei rivali. Un Manolas non impeccabile ha concesso fin troppo spazio ai tagli di Immobile, rebus costante per gli uomini di Spalletti; la deviazione di Alisson ha soltanto rimandato di qualche secondo il gol che di fatto ha chiuso il discorso qualificazione di Milinkovic-Savic. Il serbo, con Lulic, ha formato inoltre una diga quasi invalicabile che spesso i mediani avversari non sono riusciti a superare, se non girando palla a largo sulle corsie laterali. E' infatti qui che la Lazio ha vinto la gara: è pur vero che dopo 2 minuti Dzeko avrebbe potuto cambiare le sorti della sfida e della qualificazione, ma Inzaghi non ha fatto altro che mettere in condizione i propri centrali di leggere al meglio le banali e prevedibili traiettorie che giungevano dalla trequarti, lente e di facilissima risoluzione. 

La scarsa vena del bosniaco ha fatto sì che la serata dei centrali laziali fosse decisamente più agevole, turbata tuttavia in un secondo di rara follia dalla sbavatura di De Vrij, migliore in campo fino a quel momento. Il momentaneo pareggio di El Shaarawy non ha affatto leso le certezze della squadra capitolina, apparsa finalmente di forte carattere e personalità anche nei momenti apparentemente peggiori. La squadra non si è piegata al primo soffio di vento, ribaltando anzi la questione ad inizio ripresa, quando l'approccio migliore ha definitivamente chiuso i giochi: il cambio di Bruno Peres con Juan ha ulteriormente sbilanciato l'asse portante della squadra di Spalletti, lasciando spazio e praterie infinite agli avanti di Inzaghi. Le tre occasioni, in brevissimo tempo, per Ciro Immobile sono la conferma di questo atteggiamento fin troppo spregiudicato, seppur comprensibile, della Roma, punita dall'attaccante partenopeo che si conferma sempre più padrone della situazione e della squadra. 

La mezz'ora finale si è giocata su ritmi blandi e sulla sfuriata dei giallorossi, la cui reazione più che d'orgoglio è sembrata frutto soltanto della frenesia. La Lazio ha pian piano mollato la presa sull'incontro, concedendo il gol del pari prima e del sorpasso infine a Salah. Nota leggermente stonata, che tuttavia non sembra preoccupare Inzaghi. In vista della sfida al Napoli, il tecnico può sorridere, per una Lazio finalmente cinica e spietata, oltre che finalmente matura. Adesso, con questi presupposti, anche l'obiettivo terzo posto non può essere più considerato solo una chimera.