Il ritorno a Milano dopo il prestito alla Sampdoria, due presenze da titolare in campionato - con Chievo e Bologna - altrettante in Europa League. Andrea Ranocchia risale la corrente, sgomita per ottenere un posto nell'Inter attuale. Alle spalle mesi difficili, di critiche feroci, accuse pesanti. In un'intervista al Corriere della Sera, il difensore racconta il periodo buio, fino alla catarsi recente. Per uscire da un evidente stato di crisi, fondamentale l'appoggio di una persona vicina, in grado di ascoltare Ranocchia, di consigliare e stimolare un ragazzo fragile, colpito a più riprese dalla piazza.
"Sento un pregiudizio su di me. Sembra che all’Inter non abbia vinto solo io. Ma il periodo negativo non è stato tutto e solo mio. È stato dell’Inter. In sei anni avrò visto passare un centinaio di giocatori. Oltre a tre presidenti e proprietari. Ma tutto questo cambierà".
"Da tre mesi vado in un centro in cui mi seguono dal punto di vista fisico e psicologico. È lì che tiro di boxe, per esempio. E poi c’è una persona con cui parlo. Non è uno psicologo. È laureato in Fisioterapia ma è anche esperto di mental training. Parlare con lui mi è servito a capire che quasi niente nella vita è irrimediabile. E anche quello che lo è non è detto che sia un male. Puoi subire critiche, insulti, denigrazioni. Ma se lavori tantissimo, ti impegni, vesti una maglia che milioni di persone vorrebbero vestire (e sei pagato tanto per farlo), la tua famiglia sta bene: ecco, se hai consapevolezza piena di tutto questo, è meno difficile volgere in positivo le cose che non vanno. Non c’è una ragione precisa che mi ha spinto a prendere questa decisione. Una persona fa delle cose quando è pronta a farle. Io, per esempio, con tutto quello che mi è successo in carriera, ora so come fare a dare una mano, so che posso aiutare".
Ranocchia - proprio in virtù di un trascorso complicato - ben comprende le problematiche di Kondogbia, messo all'angolo da De Boer dopo la prima mezz'ora contro il Bologna. Richiamo in panchina e colpo di spada ai microfoni della stampa. Il francese ora si allena con attenzione, in attesa di una chiamata.
"Lui è molto introverso. Non esprime le sue emozioni, non parla molto. L’ho incoraggiato molto dopo la sostituzione nel primo tempo contro il Bologna…".
Il centrale ripercorre poi la sua carriera. Gli inizi all'Arezzo, con le severe lezioni dei compagni più navigati, l'esplosione a Bari, prima dell'approdo all'Inter.
"Sono retrocesso dalla B alla C con Conte. Ho iniziato a giocare negli anni del nonnismo pesante in spogliatoio, mentre ora è quasi sparito. I miei 'persecutori? Carrozzieri, Abbruscato e Mirko Conte nell’Arezzo, avevo 17 anni e come se non bastasse andavamo a giocare in campi terribili: l’Arezzo era la squadra più a nord del girone. Poi ho vinto un campionato di serie B col Bari, sempre di Conte. Ho giocato in nazionale. Ho vinto una Coppa Italia con l’Inter, nel 2011. Sono stato indagato per scommesse e sono stato assolto. Sono stato capitano dell’Inter…".
Da capitano a comparsa, parabola in negativo che Ranocchia non nasconde. Non entra nel dettaglio il calciatore, ma ringrazia Mancini, pronto a concedergli una via di fuga a Genova nel mezzo della stagione in archivio.
"Non c’è stato un motivo per cui l'ho persa, sono tante cose, ma non mi va di dirle adesso. Forse a fine carriera. Ecco, aggiungiamo all’elenco che da capitano dell’Inter ho smesso di esserlo. Colpa di Mancini? No, con lui non ho mai litigato. Con me si è comportato bene, abbiamo sempre parlato molto, mi ha dato il via libera per andare alla Sampdoria quando volevo giocare ma è stato felice che tornassi all’Inter".
L'approdo di De Boer coincide con un mutamento repentino di prospettive e idee. Il concetto di gruppo è in primo piano, l'olandese vuol rinsaldare l'unità di squadra, attraverso principi tanto semplici quanto importanti. Cambia anche la filosofia di gioco, la tecnica soppianta la forza fisica, il pallone è al centro di ogni discorso.
"Ha introdotto regole ferree. Come per esempio pranzare qui, tutti insieme, prima delle partite. O far colazione se c’è l’allenamento al mattino. E poi tornare qui a dormire dopo la partita. Sembrano cose piccole, ma fanno moltissima differenza. Il nuovo modo di giocare? È un modo di stare in campo che viene automatico, perché vogliamo aggredire dall’inizio. Più che l’intensità degli allenamenti o anche in partita, con questo modo di giocare è più importante la tecnica. Lo vediamo negli esercizi di base che De Boer ci fa fare in allenamento".
Nessun dubbio sui compagni del precedente corso, l'Inter del Triplete resta su un piano superiore, per qualità e carattere.
"Quelli del Triplete, con cui ho giocato nei primi sei mesi del 2011 erano – tutti – di un’altra categoria psicologica e tecnica. A parte loro, direi Coutinho e Kovacic".
La Nazionale, infine. Obiettivo concreto, non però un'ossessione. Un traguardo da raggiungere sul campo.
"Non è un’ossessione. È una possibilità".