Un'Inter imperfetta, ma viva. La settima tornata stagionale ripropone i dubbi delle precedenti, ma conferma lo status della banda nerazzurra. Al momento, l'Inter è un cantiere aperto, non c'è un'idea precisa, tanto a livello di uomini, quanto a livello di disposizione tattica. Mancini balla tra più schieramenti, sondando pregi e difetti di ognuno, azzarda la retroguardia a tre, salvo poi, al cospetto dell'amico Zenga, raccattare i panni e coprirsi a quattro. Pensa al tridente, ma ripiega sul più equilibrato 4-3-1-2.
Nella confusione, l'Inter si perde, fa la partita, ma non ha il giusto piglio per scardinare il muro di casa. Zenga ha giocatori perfetti per svelare i problemi degli ospiti. Frecce come Eder e Muriel, centrocampisti dediti all'inserimento come Soriano, ballerini tra le linee come Correa. Le maglie della Samp si infilano a tutta velocità nella statica coperta nerazzurra, Medel deve ingigantirsi per evitare guai peggiori.
L'Inter concede diverse occasioni, troppe per una squadra che deve chiudere a doppia mandata la porta e prendersi il ruolo da protagonista. Quando Muriel mette alle spalle di Handanovic, lo scenario si capovolge. Zenga si protegge ulteriormente, chiedendo ad Eder sacrificio e ripiegamento, Mancini getta dentro quel che ha. Sorprende la scelta di Manaj, con Ljajic seduto. Biabiany allarga il campo, Perisic gode del sole di fascia e diventa giocatore vero. Spinge, dribbla, mette palloni al bacio, segna, sull'assist sporco di Icardi.
Il volto migliore dell'Inter è questo. Non c'è bellezza nell'incedere, ma c'è tremenda forza. L'Inter ha carattere, rifugge la seconda sconfitta, schiaccia la Samp e sfiora il successo. Manaj cade, rigore non concesso. Dentro anche Ljajic, Biabiany terzino per Santon, si parte dalla corsia, attaccando il sistematico raddoppio di Barreto da una parte e di Eder dall'altra. Viviano, ben protetto, non cade, ma la reazione nobilita il buon lavoro fatto fin qui.
L'assenza di Jovetic si sente, soprattutto in termini di qualità, non sempre la spada può perforare le costruzioni altrui, serve talvolta un colpo di fioretto. La squadra di Mancini vive di "prepotenza", ma sembra non riuscire a sconfiggere un'apatia offensiva che si fa via via più preoccupante. Serve maggior chiarezza, d'intenti e di uomini. Kondogbia sottotono, esce nella ripresa, Guarin si sbraccia, ma da poco o nulla. Brozovic è in panchina, silente. Nel mezzo, l'Inter zoppica, al rientro c'è la Juve, la personalità può non bastare, il carattere deve camminare a braccetto con il gioco.