Anche Thohir, uomo di pensiero prima che d'azione, economico più che di cuore, di fronte alla descensio emotiva di una squadra ormai priva di identità, cede il passo. Cambia, ripudiando un passato difeso a spada tratta. La scelta è di prestigio, di personalità. Roberto Mancini, non a caso un profilo vincente. Il tecnico accetta, perché l'Inter è piazza di ricordi e trofei, sì legati a una fase delicata del calcio italiano, ma comunque griffata nella storia del club.
Da invertire la rotta, conservare quanto di buono fatto da Mazzarri, rimediare, per quel che è possibile. Si parte dal carattere, poi si passa al campo. Lavorare nella testa, per poi incidere nelle gambe. Le idee annebbiate subiscono una schiarita emozionale. Mancini riporta, nella squadra e nella piazza, un moto d'entusiasmo. La scelta è vissuta come un atto di volontà, il netto "no" a un ridimensionamento.
Il calendario non aiuta, perché pone in veloce rassegna Milan, Roma, Lazio, intervallate da Udinese e Chievo. Un solo successo, due pareggi, due fermate, una sanguinosa. A conti fatti poco meglio di Walter, cacciato, dalla folla e da se stesso, ancor prima che dalla società. La realtà, invece, pone sul piatto contorni diversi. L'inversione è evidente, per spirito e sacrificio.
L'Inter che affronta le ultime uscite si prende il campo, portando nella trequarti avversaria non solo i due d'attacco - Palacio e Icardi - ma anche Kovacic e i tre di mezzo, senza disdegnare le sortite dei due esterni. La controindicazione è la sofferenza difensiva. Ranocchia e Juan non sono colossi nell'uno contro uno. L'azzurro pecca di leadership - grave per un capitano - mentre il brasiliano è eccessivamente irruento. Con i biancocelesti due disattenzioni fatali. In questo senso stride la continua panchina di Vidic. Il serbo, fedelissimo nel reparto a tre di Mazzarri, non trova spazio nei quattro di Mancini. Strano il destino. Il sereno non accenna a tornare, dopo le indecisioni d'inizio stagione, in un contesto diverso. Nemanja pensa al possibile addio, ma l'Inter può privarsi del suo migliore centrale, in una difesa così composta?
Il gioco è senza dubbio più fluido. L'atteggiamento aggressivo porta con sè palla veloce e fraseggio continuo. Ridotti al lumicino i lanci lunghi, ripetuti movimenti sincronizzati aprono spazi agli inserimenti dei centrocampisti. L'undici di Mazzarri preparava il colpo in attesa, chiuso in trincea, ripartendo veloce coi due di fascia, appoggiandosi a un riferimento centrale. Tutti dediti al ripiegamento, nessuno escluso. Mancini studia qualcosa di diverso. Affida la trequarti a Kovacic - maestoso il colpo volante con la Lazio - e ama una mediana di qualità. Senza Hernanes, con un Guarin latente, dura. In attesa del Profeta, serve la grinta di Medel. Nell'ultima uscita, un'idea di Mancini. Dodò alto, fuori il cileno. Cambio al 44', perché l'ex Roma è oggi progetto in divenire, condito da diversi punti di domanda. Difende male per giocare terzino, esterno alto fatica. Il 4-3-1-2 è l'unico modulo possibile e porta maggiori soddisfazioni dell'antico 3-5-2 di Mazzarri o di un azzardato 4-3-3.
Sulle corsie, D'Ambrosio garantisce con continuità la doppia fase, ma serve come il pane Jonathan, fino ad ora sempre in infermeria. Nagatomo e il citato Dodò non bastano, perché, alterni, segnano la partita solo a tratti. Il gol di Palacio restituisce convinzione a un giocatore ancora lontano dall'abituale standard, ma Osvaldo è ormai garanzia e Icardi segna, con facilità. Esiste insomma una spina dorsale - Handanovic, ?, Kovacic, Icardi - in attesa di un uomo in grado di condurre le operazioni davanti allo sloveno.
Incombe il mercato, con poco denaro fresco. Vendere o strappare qualche operazione a prezzo di favore? Cerci - vicino al Milan - è il prototipo studiato, Podolski l'alternativa. Un esterno rapido e tecnico, per permettere a Mancini di esplorare altre vie. In un futuro non troppo lontano, l'Inter studia il passaggio al 4-2-3-1, modulo caro al tecnico e simile per forma e intenti a quello storico del triplete. Un'altra era, ma Mancini, almeno a parole, non accetta paure e ostacoli. Il calendario presenta, alla ripresa, la Juve. Nemici di stampo antico, battaglie in campo, ma non solo. Si gioca in casa dei padroni, senza mezzi termini. Serve un'impresa, semplicemente un'Inter perfetta.