Un tourbillon di nomi, dichiarazioni, parole. É l'Inter nel peggior momento della stagione, che coincide con il gennaio del mercato. Ovvio che in tale situazione, in discesa in classifica, con la Champions lontana e l'Europa League possibile, ma, allo stato attuale, complicata, carta stampata e giornali invochino, suppongano, acquisti e correzioni. Il tifoso legge e spera. Chiude un orecchio di fronte ai diktat di Thohir, che richiama il bilancio e parla di un futuro roseo, e apre alle illazioni di immagini che ricordano momenti di gloria. Top player, nove lettere, due parole che portano in uno stato di assuefazione l'interista sedotto e abbandonato dall'indonesiano. Messa da parte la realtà, si lascia il posto al sogno. Sfumati Lavezzi e Lamela, talenti che piacciono a tutti, ma costano, si cercano nuovi identikit a cui appiccicare speranze e illusioni.

 

Si cerca un po' ovunque, perché l'Inter di mancanze ne ha in ogni reparto. Peccato che il più vicino ad arrivare resti D'Ambrosio, perché lui, onesto giocatore di fascia, rinforzo utile, non stimola palati raffinati. L'attacco resta il reparto sotto la lente d'ingrandimento. Il grande centravanti scuote le platee, infiamma le piazze. Basta un gesto di Milito, il semplice alzarsi dalla panchina del Principe per scatenare l'ovazione della San Siro nostalgica. Mazzarri pensa a come potrebbe essere riscritta la storia d'andata con l'uomo del Bernal dal via e non a strappi. E maledice la sorte, perché ora che ha Milito, non ha più Palacio. O meglio c'è, ma non si vede. Intravedi soltanto una treccia stanca, spossata, che corre, combattendo le leggi della fatica e del riposo. Ha tirato, sospinto l'Inter vicino ai grandi per diciannove partite, poi si è arreso. Ha bisogno di riposo anche il Trenza, perché di riposo non ne ha avuto mai. Di Icardi e Belfodil poco o nulla si è visto. Speranze giovani, promesse estive, respinte dal campo. Dell'argentino si ricordano tweet e gossip, due gol, fatti di talento e incostanza. L'impressione è che la vita da atleta sia altra cosa. Ishak non ha conquistato Mazzarri. Un senza ruolo, così lo ha definito il tecnico, sballottandolo tra la fascia e la zona centrale, in manciate di minuti senza infamia e senza lode. Serve qualcosa, non di razza pregiata. Si pensa al classico usato sicuro. Un tempo fu Rocchi, oggi Borriello. É cambiata l'immagine, non la sostanza. Giramondo in cerca di consacrazione Marco. Tinto d'oro in terra di Liguria, poco più di comparsa nell'Olimpico di Re Totti. A trentuno anni vuole rilanciarsi, ancora una volta. Non gradisce il West Ham, correrebbe all'Inter. Un Borriello in più o in meno non cambierà il volto di Mazzarri, non stimolerà un pubblico sopito, non accenderà il corso Thohir.

 

La novità si chiama Hernanes. Altro tasso tecnico, altra caratura. Giunto in Italia ha conquistato la Lazio, che ora vorrebbe lasciare. Il Mondiale incombe, l'aquila stenta e il profeta gioca, all'apparenza, senza passione. L'avventura romana è al capolinea, appesa al filo di un contratto con scadenza imminente. Lotito spara alto, da par suo. 17 milioni per il brasiliano. Richiesta esosa, per forza di cose trattabile. Perché la volontà del calciatore conta e il rischio di perderlo a zero tra alcuni mesi è spada di Damocle importante. L'Inter ci pensa, magari grazie a una cessione illustre, all'utilizzo di una parte di tesoretto già pronto per giugno, grazie all'addio di senatori dal portafoglio importante, non più giustificato da prestazioni all'altezza. All'apparenza non il prototipo più adatto, in una squadra che annovera già Alvarez e Kovacic, quello del Profeta, ma Mazzarri che, come Thohir, è pronto a scaricare Guarin, ha varato col Chievo la nuova Inter a due trequartisti. Pane per Hernanes, nato in quella zona di campo, con Kovacic arretrato nei due in mediana, a far compagnia a Cambiasso. Una squadra azzardata, offensiva, ma finalmente di talento. Giocare bene non è secondario e spesso porta a vincere. Costretto dalle necessità, dall'esigenza di equilibrio, il tecnico finora ha lasciato il bello per l'utile, ma ora non basta più. Nel progetto triennale di Thohir l'estetica conta. Il modello è quello inglese, società sana, forte, fatta di giocatori nel pieno del furore agonistico. Che la nuova era, aldilà di parole sommesse, possa partire da gennaio?