Un numero uno, meno numero uno del solito. Handanovic è tipo di poche parole, ama far parlare il campo. Le uniche urla le riserva ai compagni di reparto, o a se stesso. Sì, perché lui in primis sa che può e deve fare di più. Nell'Inter della ricostruzione l'apporto dello sloveno è fondamentale. Uno dei pochi top player rimasti di casa nella Milano nerazzurra. L'errore di Parma ha stupito, perché insolito. Mai nella scorsa stagione l'ex portierone dell'Udinese aveva lasciato aperto lo spiraglio del dubbio. A Napoli, niente di eclatante. Però nessun miracolo. Quasi fosse la norma, e non l'eccezione, il popolo si aspetta sempre la parata a sensazione. Ben abituato, storce il naso di fronte alle prestazioni dell'ultimo periodo. Dopo il match coi ducali, ha chiesto di parlare alla stampa. Assunzione di responsabilità, ora alle colonne della Gazzetta dello Sport, racconta, con coraggio, il momento, l'attesa per un derby quantomai decisivo, giunto al termine di un periodo di appannamento che rischia di risultare fatale. "Una stagione è fatta di momenti, succede alle squadre, succede ai portieri. E se succede alle squadre, è più facile che succeda ai portieri. Sono momenti che vanno accettati, anche quando si è meno decisivi, quando si subiscono più gol, ma resto sereno e vado avanti per la mia strada. Mi hanno rimproverato diversi errori, ma il ruolo del portiere è il più difficile da decifrare, soprattutto per chi non ha giocato in questo ruolo. Uno solo è stato un vero errore, quello con il Parma".
Gli occhi sono puntati sulla retroguardia di Mazzarri. Un inizio convincente, col collaudato trio Ranocchia - Campagnaro - Juan, poi via via disattenzioni sempre più continue, ingenuità costanti, fino alla deriva dell'ultimo periodo. Sette gol subiti nelle ultime due partite, una fragilità disarmante, aldilà dei singoli. Una cerniera inesistente, una squadra senza filo logico. "Nelle prime 5-6 giornate l'organizzazione difensiva era a buon punto. Ultimamente abbiamo fatto un passo indietro. Non è sempre vero che se fai gioco, poi vinci; può arrivare un momento in cui il primo imperativo non è far male, ma non farsi male. E per non prenderle serve più fame, più cattiveria agonistica, ancor più indispensabili se non giochi tanto bene. Contro Bologna, Sampdoria e Parma non ne abbiamo avuta abbastanza. A Napoli il discorso è stato diverso, come era stato a Roma. Una squadra come noi non può permettersi di prendere gol in contropiede, lasciare metri e metri di campo.
Poi il momento Inter. L'addio di Moratti, l'arrivo di Thohir, l'entusiasmo e il progetto del domani. La crescita, lenta, ma costante, senza perder di vista la realtà. Questa squadra è lontana da quella capace, nella notte di Madrid, di conquistare il Mondo. Il nuovo corso, griffato dal marchio indonesiano, punta su campo e marketing, senza spese folli, con un obbiettivo: puntare su giovani di valore per tornare grandi. "L'importante è che tutti sappiano, noi per primi, che questa non è un'Inter di fenomeni. La storia di ogni società è fatta di parabole. La nostra adesso dovrebbe iniziare a risalire, ma non so dire quanto ci vorrà per essere completi. La cosa davvero importante è essere chiari dal punto di vista degli obbiettivi. Questo per l'Inter è un anno di ricostruzione".
Infine il derby, la stracittadina che tutti attendono, anche nel periodo più buio. Il calcioscommesse, il problema curve, la sensazione di una sfida privata del fascino di un tempo. Lontane dalla vetta, Inter e Milan combattono una guerra minore, eppure Handanovic rilancia la candidatura di una sfida incorniciata da storia e ricordi "Io posso parlare delle due sfide dell'anno scorso. Ho il ricordo di un clima e di un livello da derby veri. Quello che si vede da fuori conta fino a un certo punto".