L'Inter era partita con i presupposti di fare una stagione da outsider, con i benefici di chi non ha impegni infrasettimanali e può alzare di qualche tono la voce nel fine settimana rispetto alle varie compagini impegnate in campo europeo. Tutto era cominciato così, in effetti: 4 vittorie nelle prime 5 di campionato prima che il primo stop o passo falso che dir si voglia si materializzasse sul campo del Cagliari. La stessa sorte è capitata non una volta sola: pareggi in rimonta subìti contro le medio-piccole Bologna, Samp e - infine - Parma. Quando l'Inter doveva alzare la voce (nel filotto di tre impegni casalinghi nelle quattro partite con Livorno, felsinei, doriani e ducali) l'ha abbassata, perdendo contatto dalle prime della classe.
Cosa si è inceppato nella macchina che pareva vincere e convincere ad inizio stagione? Si fa presto a dire che la squadra non ha caratura adatta per rimanere aggrappata al treno di testa, che i vari Jonathan e Ricky Alvarez più di questo non possono fare. Non è così. È lapalissiano e sarebbe assurdo affermare l'inverso, ossia che l'Inter come qualità in sé non ha in rosa campioni del calibro di Juve e Napoli. Ma quel gap doveva necesseriamente essere recuperato grazie al non-impegno infrasettimanale suddetto. Allora cosa si è rotto?
Nella prima mini-crisi, quella che aveva portato a due pareggi, una sconfitta ed una vittoria nel mese di Ottobre l'attenuante era il caso-Campagnaro. Sta bene e no? E' arruolabile o no? Ma come, con l'Argentina gioca e con l'Inter no? Si è incrinato il rapporto con Mazzarri? Il problema, in conclusione, non era quello: anzi. Rolando, al posto del fedelissimo Mazzariano ha performato anche al di sopra di ogni aspettativa, sia da centrale che da mezzo-destro.
Poi l'Inter ha ripreso a cavalcare (Campagnaro o no) ed ha messo in fila 6 punti fra Udinese e Livorno, all'alba di quello che doveva essere il filotto decisivo, quello che avrebbe reso il distacco dalla testa minimo, quello in cui bisognava accelerare. Ed invece no. Tre pareggi. Con Campagnaro. E senza alcun infortunio a complicare la vita (anzi, l'abbondanza a centrocampo costringe Kovacic a rimanere fuori il più delle volte e concede a Mazzarri anche cambi di sistema, vedi Guarìn trequartista e Ricky Alvarez mezzala).
Il vero problema di questa Inter, forse, è che si parla tanto di lei. Doveva rinascere dalle proprie ceneri in silenzio, e montare senza fare rumore da metà classifica fino al terzo posto. Terzo posto, ecco. Quanto rumore nelle ultime settimane a proposito. Con l'avvento di Thohir, da più di un mese a questa parte, non si fa che parlare della società nerazzurra. Ovunque. "Thohir cambia dirigenti", "Thohir boccia Branca", "Thohir non compra se non vende", "Thohir vuole imporre un nuovo registro all'Inter". Tutto questo brusìo è stato deleterio allo spogliatoio nerazzurro, spogliatoio giovane che da un momento all'altro ha sentito anche - forse - l'obbligo morale di dover dare di più.
Ma l'Inter è quella che é. Ricky, Jonathan, Palacio, Juan e tutti gli altri di più non potevano fare. Fare di più per poter raggiungere la Champions League e il terzo posto. Traguardo difficile al quale però Thohir ambisce. Alché Mazzarri ha sbottato, vedendo i propri ragazzi non tanto inadeguati per conseguire l'obiettivo, quanto demoralizzati nel vedere che il loro lavoro, il loro 100%, non era bastato.
"Se si vuole la Champions League, se si parla di terzo posto, beh che ci si muova per arrivare al terzo posto". Tradotto dal Mazzariano :" Non possiamo chiedere altro a questi ragazzi che il loro massimo lo hanno raggiunto". Thohir non ha risposto alla frecciata del tecnico con cui si vociferano tuttavia dei primi approcci positivi. Thohir se ne sta in disparte, deve ancora ambientarsi in un'ambiente nuovo dove lui è il principale benefattore, l'unica risorsa e la nuova speranza.
Non hanno certo contribuito al meglio le già nominate voci che vorrebbero una dirigenza totalmente nuova. Da Montali a Leonardo, dal ritorno di Oriali ad altri, i nomi non hanno fatto che aumentare di giorno in giorno. Nomi, voci, mai azioni. Thohir difatti ha solo sovraccaricato il numero di dirigenti. Ha aggiunto senza togliere. Ha introdotto nuovi uomini senza sollevare i vecchi. La nuova Inter sembra la prima Roma targata USA. Poco ordine, figure sparse, compiti non chiari con magari due dirigenti che convergono nella stessa direzione scontrandosi fra di loro. Nel silenzio generale, nei falsi sorrisi ai gala, manca Moratti. Manca un uomo deciso, di cui ci si possa fidare, che sappia il fatto suo. Che abbia già la cittadinanza sul pianeta calcio, prima che su quello Inter.
Tutto tace. Mazzarri non ha avuto risposte. Attende, impaziente, Gennaio, per capire quale piega prenderà la faccenda. Se si spenderà (magari anche senza vendere), se si investirà per la CL o si preferirà ottenere il massimo da questa rosa nell'annata attuale per gettare tutto alle ortiche la prossima estate e cambiare ogni cosa. Anche la filosofia.
Perché, negli ultimi giorni, dal modello Arsenal (squadra che - oltre a formare i giovani - li vende a caro prezzo, diverte ed appassiona) al modello Ajax (solo tappa di passaggio di ogni giovane nordico o olandese che poi diventerà un top player; squadra che in patria vince per mancanza di concorrenza ma cui filosofia "udinesiana" in Italia non frutterebbe qualificazioni in Europa). E come se non bastasse pare che Branca sia in missione a Londra con il compito di venderlo al Chelsea.. Per Thohir è ora di muoversi. Ci vogliono idee chiare.
FC Internazionale MilanoVAVEL