Una Juve discreta, con gli occhi alla Champions del dentro-fuori, regola il Livorno. Partita bloccata, decisa dai colpi di Llorente e dalla “fame” di Tevez. L'Inter, di scena nel posticipo serale, a Bologna, si addormenta e rischia. Entra in campo con lo sguardo spaesato e, riflessa nelle incertezze di Taider, concede ai felsinei l'autostrada del vantaggio. Poi recupera, con rabbia e orgoglio. Ma non vince e fallisce un aggancio al Napoli che, se non per la classifica, avrebbe contato parecchio per morale e sensazioni. Essere terzi, tra i grandi, anche a novembre, vuol dire non poco. Invece no. E qui sta tutta la differenza tra una grande squadra e una squadra che grande può diventarlo. La Juve ha la compattezza e la convinzione dei campioni. Viene da due anni e più di cura Conte. É stata forgiata guerriera e guerriera è in campo. Impersonificata da Vidal, guidata da Pirlo, accesa dalle urla di Buffon. Una macchina perfetta, almeno in Italia, in attesa dell'Europa.
L'Inter è in costruzione, un cantiere aperto. Prova a imparare dai propri errori. Vuol esser protagonista, presto, perché ricorda ancora quando San Siro sognava nelle notti magiche di un'epopea a tratti irripetibile. Tre anni fa, pare una vita. É giunto Thohir che osserva dall'Indonesia, segue e tifa, primo supporter di un gruppo che avrà bisogno di lui come Presidente, soprattutto come uomo mercato. Un lieve fastidio a Nagatomo condanna la banda Mazzarri. L'emergenza esterni è palese. Pereira inadeguato. Che la salute conservi Jonathan. Ah, strano il calcio. Fischiato, vituperato, di colpo osannato. La sorte pare aver sposato il brasiliano. Un altro rimpallo, un'altra deviazione. A stupire è l'atteggiamento. La voglia di correre, azzardare. Cosa vuol dire la fiducia.
Eppure non è tanto nei tatticismi, nei pertugi di schemi e moduli, che occorre analizzare l'Inter mazzariana. Più in là la risposta ai punti lasciati per strada. Nella testa, prima che nelle gambe, risiede il limite dei nerazzurri. Come persi in una ricerca infinita di identità e certezze, paiono smarrire la retta via. Lacune ancora presenti. In minor misura rispetto al passato. Esigue se paragonate all'era Stramaccioni. Eppure ancor vive. E la Serie A è cliente difficile. Se regali, difficilmente sei poi premiato. Mazzarri, che a metà secondo tempo sbotta per le occasioni divorate, che vede i sogni di gloria respinti da traversa e Curci, lo sa. Vorrebbe vedere nella sua creatura il pragmatismo, il cinismo, che è proprio dei team vincenti. Lo stesso spirito che anima la Juve di Conte. Sa però che serve tempo. Inculcare qualcosa di nuovo in una squadra in totale ricostruzione. Frullare sicurezze e novità. Compito impervio. Annullare il deficit di concentrazione e amnesie, significherebbe superare lo scalino che porta dalla lotta Champions al titolo. Troppo per questa Inter, troppo con questo organico. Il filo dorato, la scala immaginaria, in grado di bruciare le tappe, è proprio Mazzarri. Architetto spesso sottovalutato, sempre protagonista al traguardo. Dal miracolo Reggina, alle imprese di Napoli.