Il ministro dello sport Graziano Delrio ha lanciato questa mattina un messaggio chiaro agli ultras: “Le regole devono assolutamente essere uguali per tutti. Nessuna tolleranza maggiore e zone franche per chi va allo stadio a drogarsi o ubriacarsi o a generare violenza”. Parole dure che però nel contesto generale vengono meglio chiarite dal ministro Delrio: “Sono d’accordo all’aper­tura di un dialogo e di un tavolo con i tifosi a patto che si rispettino certe regole. Bisogna esaminare tutto, punto per punto”. Quando si tratta di esaminare nel dettaglio il ministro fa riferimento agli impianti che “…devono avere posti numerati per tutti: non c’è metodo migliore per l’identificazione. Bisogna mettersi in testa che lo sport può andare avanti anche senza i tifosi organizzati perciò negli stadi – ribadisce – non ci possono essere zone franche".

Che poi, tralasciando per un momento le ipotetiche soluzioni, il problema degli ultras non è solo un danno di immagine e una brutta figura in giro per il mondo, come certamente sarà vedere lo Juventus Stadium con le curve vuote dopo aver ammirato identico 'spettacolo' a San Siro e all'Olimpico di Roma poichè la guerra dichiarata dagli ultras al calcio italiano sta costando ai club una vera e propria stangata in termini economici con l'unica consolazione che i soldi spesi in multe sono destinati a progetti di promozione e beneficenza. Il conto presentato dal Giudice sportivo Tosel è salatissimo: 840.000 euro dopo le prime 12 giornate. Un anno fa di questi tempi eravamo fermi a 344.500, due anni fa non si arrivava a quota 200mila (192.500 euro). Di questo passo il totale raggiunto lo scorso maggio e che già aveva suscitato scalpore (circa 1,5 milioni di euro) sarà frantumato alla fine del girone d'andata con proiezione di 2,6 milioni a fine campionato.

Oltre al danno anche la beffa quindi. La beffa dei soldi gettati al vento dalle società sportive per pagare gli errori di ospiti, perché sì è questo che in una società civile sono i tifosi, ospiti di un impianto sportivo, anche la beffa delle parole della politica, per anni complice dello scandalo dell'arretratezza delle strutture e di una mentalità al limite della follia che ha radicato nel cervello di tutti l'idea che i calciatori fossero semidività e che i presidenti delle società di calcio fossero principi capricciosi legittimati a dilapidare patrimoni pur di farsi osannare da folle di inebetiti fedeli. Il calcio, insomma, ha creduto per troppo tempo di essere al di sopra della legge, della morale, degli obblighi, un po' (tanto) come la politica stessa.

E ora? Cosa ci rimane? L'ennesimo foglio riempito di promesse? La chiacchiera vacua di una politica che invoca il pugno di ferro ma che non riesce in primis ad usarlo contro i proprio scandali? L'attesa che i fatti di Salerno, i corri razzisti, i petardi, i fumogeni, le curve chiuse e gli arresti continuino senza che nessuno possa mai porvici rimedio? Ci rimane una consapevolezza, anzi due. Il calcio in Italia è morto. E sta a noi farlo resuscitare, farlo tornare ad essere fucina, palestra e fonte di valori corretti; a farlo tornare metafora della vita.