Pensieri e parole. Non sarà un'avventura come le altre. Inter-Juve, non è lo mai. Figurarsi stavolta, alla vigilia di un cambiamento epocale. Massimo il tifoso, prima ancora che il Presidente, si affaccia a San Siro per affrontare la Vecchia Signora, forse per l'ultima volta da patron. Emozioni, ricordi, polemiche. Lui, eletto a simbolo nerazzurro, artefice del triplete mourinhano. Il Moratti con la Coppa al cielo nella notte di Madrid, grande con l'Inter, come anni prima suo padre, è pronto a lasciare. Subito dopo il derby d'Italia. La sua partita. Contro i nemici di sempre. Il paladino dei colori nerazzurri contro gli “odiati” bianconeri. Una vita in trincea. La trincea calcistica di chi si sente oppresso da avversari potenti, spesso incapace di reagire. Anche il timido Moratti, uomo riservato, signore nel calcio fatto di schiamazzi e grida, ha spesso perso le staffe. Proprio contro Agnelli. Proprio per difendere l'interismo dalle preponderanti truppe di casa Juve.
Moratti è l'Inter. É il cuore e l'anima di una società cresciuta e tornata grande sotto la sua guida. Errori, troppi, commessi per eccessivo amore verso una creatura, che lui stesso ha definito come una “figlia”, che è giunto il momento di lasciare. Resterà. Troppo importante la sua funzione di collante tra quel che è stato e quel che sarà. Ha avviato lui il progetto giovane, la nouvelle vague nerazzurra che tanto piace anche a Thohir. Kovacic prima, Icardi, Belfodil e Taider poi. Campioncini oggi, stelle nel prossimo futuro. Si discute su quote, cariche, debiti, investimenti. La normale empasse che precede un cambiamento di tale portata.
Thohir analizza carte, documenti, possibilità. Moratti, concentrato, guarda i suoi ragazzi. Quasi a voler trasmettere loro quello che è Inter - Juve. Un vulcano di aneddoti, attimi, gioie e dolori. Un'eruzione di pugni al cielo, scatti d'ira e incontrollate manifestazioni di “follia”. La Partita. Forse l'ultima per il Massimo tifoso. La più importante.