Un ringraziamento e un’incoronazione. La parola fine, o quasi. Moratti, in un'intervista concessa alla Gazzetta Dello Sport in edicola oggi esce allo scoperto, allontana Pellegrini e abbraccia Thohir. Tranquillizza i tifosi e da manager capisce l’esigenza di abbattere barriere, vetuste come “stadi e format”, per aprire le frontiere al nuovo che avanza. L’Inter che diventa internazionale. Indonesiana, molto di più. Nel calcio moderno, impossibile resistere all’avanzata ingombrante di sceicchi e petroldollari senza guardare oltre le proprie mura. “Ringrazio Pellegrini, ma ho deciso di guardare al futuro. Apriamoci al mondo, innoviamo: nuovi mercati e nuove abitudini manageriali.”  Moratti sa che potrebbe benissimo restare alla guida dell’Inter, rispondendo a quel richiamo all’identità, al cuore, alla storia nerazzurra, ma sa anche che significherebbe restare nel limbo calcistico, lì dove si vivacchia, ma non si vince. E allora no. Si cambia. “Potrei tranquillamente continuare da solo, il problema non sono i debiti, è il fatturato. Sono le risorse necessarie per lo sviluppo, un tema commerciale. Ciò di cui mi preoccupo è il futuro della squadra. E questo non può prescindere dall’espansione del marchio sul mercato internazionale. L’Inter è come una figlia, ora è il tempo di mandarla in collegio. Solamente così imparerà a camminare con le proprie gambe.” Non certo un addio però quello del Massimo, sommo interista, anzi. “L’Inter sarà una società gestita in modo moderno. Se servo, resterò a dare il mio contributo. Ma non mitizziamo il mio ruolo. I Presidenti simbolo a un certo punto diventano un tappo.” Emerge amarezza forse solo quando si riporta alla mente il triplete, il massimo momento della storia nerazzurra. L’apice della felicità, prima della descensio ad inferos. Anche lì errori e leggerezze, che hanno portato alla decisione sofferta di oggi. “Un’immensa gioia e un altrettanto grande occasione sprecata, ecco cosa è stato.” Infine l’attacco al calcio italiano. Sordo ai richiami di ieri e stroncato dalla realtà di oggi. L’Italia beata tra i suoi allori e le sue coppe, tronfia di successi, incurante di programmi e idee, che oggi paga salato il conto del campo e del business. “Per anni il calcio italiano ha vinto all’estero sul campo, ma finanziariamente ha giocato una partita casalinga. E l’ha perduta. Si è nutrito di diritti televisivi e colpi di mercato. Per carità anche quelli servono, creano identità e coesione coi tifosi, che sono il primo patrimonio della squadra, ma oggi ci ritroviamo incapaci di fare sistema.” Chiaro, concreto, scevro da sentimentalismi, lontano anni luce dal tifoso, che a volte ha prevalso e lo ha indotto in errore. Il cammino verso il rinnovamento è lungo e insidioso, ma per l’Inter par cominciato.