Milano è un po' più triste e solitaria. Vero è che arriva il tempo in cui si ammainano anche le bandiere più grandi, ma quel momento, quell'attimo, quando arriva, ti provoca sempre quella sensazione strana di malinconia, ricordi, illusioni. Vorresti che il tempo si fermasse per riassaporare le gioie che quei campioni, quei pezzi di storia ti hanno fatto vivere. Ambrosini e Stankovic. Milan e Inter. Cugini nemici nell'immaginario collettivo. Simboli per gli amanti del calcio. Portatori di valori sani nel pallone incenerito da scommesse, accordi furtivi e problemi economici. Capitani oltre la fascia. Esempi. In campo e fuori. Gente di poche parole. “Se sarò ancora utile all'Inter resterò, altrimenti dirò semplicemente grazie e me ne andrò.” Essenziale Dejan. Espressione di orgoglio e abnegazione, figlio prediletto della Serbia calcistica, di cui ha importato in Italia carattere e spigolosità. In prima fila sempre, l'ultimo ad arrendersi nelle battaglie più impervie.

 

Dal lontano 2003-2004, quando rifiutò le sirene bianconere per tingersi di nerazzurro, diventando idolo di San Siro. Prima con Mancini, poi con Mourinho. Vincente. Lì in mezzo al campo, dove le partite si decidono e si vincono. Su ogni pallone, come fosse l'ultimo. L'avvento del fair play finanziario, che ha portato alla prima eccellente esclusione europea, quella del Malaga, ha sgretolato quel gruppo di “eroi” come direbbe Mourinho. I 3 milioni a contratto, sommati ai ripetuti problemi fisici hanno reso Stankovic un lusso. Un lusso troppo oneroso. E lui, signore tra i signori, ha capito e si è fatto da parte. Tra un sentimentale ritorno in biancoceleste e un approdo in uno dei nuovi eldorado del calcio, sceglierà il suo futuro. Un “drago” non appende così le scarpette al chiodo. Un “drago” combatte. Sempre.

 

Si parla spesso di Zanetti e Cambiasso, punti cardine, riferimenti, all'interno delle burrascose mura di Appiano Gentile, dimenticando forse l'importanza di un giocatore che non solo ha vestito più di 300 volte la casacca nerazzurra, ma l'ha vestita come fosse una seconda pelle. Milano e l'Inter, come casa sua. Nove anni. Una vita. Forse è giusto così. Forse le ragioni del vil denaro devono prevalere sui sentimenti. Ma ci sono uomini, uomini prima che giocatori, a cui si rinuncia a fatica. Lo spessore umano tende a essere meno considerato del gesto tecnico, ma le grandi squadre, quelle che hanno fatto la storia, che hanno scritto la storia, non hanno mai potuto prescindere da eccezionali leader. Il Milan di Maldini, la Juventus di Scirea, l'Inter di Facchetti. Anche le bandiere più grandi smettono di sventolare, festanti, ma Milano è un po' più povera senza Dejan e Ambro. Milano è un po' più grigia.