“Ai generali bravi preferisco quelli fortunati” diceva Napoleone Bonaparte. Parafrasando questo aforisma, è un po’ questa la critica rivolta a Didier Deschamps: niente gioco, pochi meriti e tanta fortuna. Forse è vero che la buona sorte ha avuto un ruolo determinante, ma è altrettanto vero che la Francia ha dimostrato sul campo di essere una squadra forte, piena di talento ed abile a sfruttare le sue armi. Un gioco semplice, quello del tecnico transalpino, fatto di posizionamento, copertura difensiva e ripartenza in contropiede. Uomini scelti apposta per questa tattica, al di là delle esclusioni eccellenti che sono costate al CT feroci critiche, su tutte quella di Karim Benzema, mai convocato da quando Deschamps è stato scelto come allenatore della nazionale, o come quella di Adrien Rabiot, inserito fra le riserve e rispedito a casa dopo il risentimento del centrocampista, oltre ad altri nomi altisonanti come Martial, Kurzawa o Kondogbia.
La sfortuna invece ci ha messo lo zampino per far fuori Laurent Koscielny per la rottura del tendine d’Achille, ma a questo si è rimediato grazie all’esplosione definitiva di Raphael Varane e Samuel Umtiti, assolutamente granitici al centro della difesa e decisivi anche in zona goal – nei quarti di finale il primo, in semifinale il secondo. Deschamps è stato anche molto bravo a capire i suoi errori ed a rimediare subito. Partito nel primo match contro l’Australia con un 4-3-3, con Tolisso a centrocampo ed il tridente Griezmann-Mbappè-Dembèlè in avanti, il tecnico ha cambiato a gara in corso, inserendo Blaise Matuidi nel mezzo per dare più equilibrio e Olivier Giroud in attacco, in modo da avere un punto di riferimento in grado di difendere palla e far salire la squadra, dando anche una soluzione alternativa, cioè quella aerea. Con queste due modifiche lo schieramento è passato al 4-2-3-1, con lo juventino in particolare molto bravo a ricoprire diversi ruoli all’occorrenza, fra la mezzala difensiva in fase di non possesso e ala offensiva in fase d’attacco.
In questo modo, con Kantè sempre perfetto nel compito di recuperapalloni, è risultata fondamentale la posizione di Paul Pogba: abituato a giocare in maniera più offensiva, il centrocampista del Manchester United ha dovuto arretrare il suo raggio d’azione e, grazie anche all’atteggiamento positivo dell’ex juventino, si è trasformato nel leader tecnico e caratteriale che serviva a Deschamps per guidare in campo questo gruppo. Davanti invece la qualità e l’intelligenza di Griezmann e la velocità ed il talento puro di Mbappè l’hanno fatta da padroni: l’attaccante dell’Atletico – schierato fra le linee - ha sempre anteposto il bene della squadra al suo, mentre per il fenomeno del Paris Saint-Germain, seppur mostrando segni di immaturità, ha trascinato in diversi momenti i compagni, andando anche a registrare alcuni record per quanto riguarda la precocità nel segnare – assoluti per un francese -, accostandosi a Pelè.
Ci sono poi le intuizioni di Deschamps, per quanto riguarda per esempio Benjamin Pavard, solito a giocare come difensore centrale nello Stoccarda e risultato uno dei migliori terzini del Mondiale, o come Lucas Hernandez, su cui il tecnico ha puntato sin dall’inizio, rinunciando a Mendy, Digne e Kurzawa, dopo una discreta stagione all’Atletico Madrid. A completare il tutto c’è il portiere e capitano, Hugo Lloris, che al di là dell’errore clamoroso in finale su Mandzukic è stato una certezza per tutta la durata del torneo, con poche parate ma decisive, dando anche sicurezza a tutto il reparto. Grande soddisfazione perciò per l’allenatore, che si ritrova a stringere tra le mani quella Coppa alzata esattamente 20 anni fa, da capitano in campo nel cielo di Parigi nel 1998: nonostante tutti i punti di domanda scaturiti, oltre che dal gioco espresso anche dalla sconfitta in finale dell’Europeo casalingo di due anni fa con il Portogallo, ha proseguito per la sua strada ed alla fine ha avuto ragione lui.