Epilogo non scontato, affatto. Sorprendente, per certi versi; atteso, per altri. Probabilmente giusto, ma chissà. Sull'esonero di Carlo Ancelotti se ne sono sentite di ogni tipo nel solo giro di ventiquattr'ore, svariando da questioni tattiche decisamente poco inerenti ad altre di valori tecnici che non sembrano rispecchiare la realtà. Soprattutto, il nome ed il blasone in certi casi vanno messi da parte: esonerare uno dei migliori allenatori d'Europa - eletto come tale a furor di popolo, tra adetti ai lavori e giocatori - non è necessariamente un male, non lo è nel caso specifico di Carletto, come non lo è stato nel caso di Mourinho al Chelsea nella stagione 2015/16. Non c'è lesa maestà, ma soltanto un rapporto che non può più proseguire per attriti estremi.
Sette vittorie, un pari e due sconfitte nelle prime dieci stagionali. Il gioco non brillante c'entra poco o nulla.
Quello tra Ancelotti ed il Bayern era nato sotto il segno del suo predecessore: l'eredità di Guardiola non pesava affatto, il nativo di Reggiolo lo aveva dimostrato coi fatti, inanellando otto vittorie di fila prima dello stop al Calderon. Niente rivoluzioni tattiche, una Bundesliga vinta in carrozza e una bruciante eliminazione in Champions. La rivoluzione era però soltanto rimandata di un anno: gli annunci dei ritiri di Lahm e Xabi Alonso, i due perni, i leader della squadra e dello spogliatoio insieme a Neuer e Muller, hanno cambiato tutte le prospettive nell'immediato. La squadra in campo ne ha risentito, la mancanza di due appoggi fondamentali ed insostituibili nel giro di pochi mesi - unita a una serie di infortuni - ha condotto a un avvio a rilento a livello di risultati.
Non sono stati però gli insuccessi in campo a penalizzare Ancelotti, bensì il caos dello spogliatoio, rimasto senza leader, considerando anche l'infortunio di Neuer. Il tecnico si è trovato costretto a rimescolare le gerarchie, aprendo ad un ricambio generazionale intuibile dalle formazioni schierate: Tolisso e Sule, due nuovi acquisti estivi, hanno collezionato rispettivamente 9 ed 8 presenze, così come Sebastian Rudy, altro arrivo fresco di pochi giorni. Sintomo di una necessità di rivoluzione dettata dagli eventi, con tanti veterani spesso tagliati fuori, su tutti Boateng e Robben, i primi a cui Ancelotti ha rinunciato. I due sono i più longevi in quanto a presenze nella rosa insieme a Muller, che non ha mai avuto un rapporto idilliaco con l'allenatore, e a Ribery, che con Carletto ha sempre vissuto sul confine tra amore ed odio.
Constrasti tra veterani e giovani, con un ricambio generazionale non facile da gestire: Ancelotti ha perso lo spogliatoio.
Una situazione confusionaria, con chiare ripercussioni in campo. Senza Xabi e Lahm, la squadra ha perso i padroni, gli altri hanno come iniziato una lotta per il trono che Ancelotti non è stato in grado di tenere a bada. L'ego dei singoli ha sopraffatto il concetto di squadra, ha causato attriti interni e spaccato lo spogliatoio: in pochi hanno sentito la fiducia del tecnico quest'anno. A ciò va unita anche una questione ambientale difficile, con vari ex giocatori (su tutti Basler e Matthaus) che si sono apertamente schierati contro Ancelotti, non lesinando critiche al suo operato sulla panchina bavarese.
Altro aspetto che scagiona da varie responsabilità tecniche Ancelotti è che la decisione dell'esonero a settembre non sia nello stile di una società come il Bayern Monaco, la quale è maestra di programmazione ed aziendalmente impeccabile. Viene da sé pensare che la situazione interna tra giocatori e tecnico fosse diventata totalmente insostenibile, a livello prima di tutto umano piuttosto che tecnico e tattico. Ecco perché tracciare bilanci dell'esperienza tedesca di Ancelotti non è del tutto corretto. Sembra proprio il classico caso in cui l'allenatore paga per tutti: a settembre, d'altro canto, è più facile optare per lo switch in panchina piuttosto che aspettare Gennaio per fare rivoluzioni, posto che il mercato invernale in Germania è più una finestra di prospettiva per programmare la stagione successiva che per aggiustare quella in corso.
Il classico caso in cui l'allenatore paga per tutti.
La dirigenza non aveva altra scelta possibile, nessuna alternativa plausibile su cui fare leva. L'esonero di Ancelotti è una conseguenza di una serie concatenata di sfortunati eventi, in ultimo il 3-0 subito in casa del Psg mercoledì sera, che ha preso il via dopo il ritiro di Lahm e Xabi Alonso. I giocatori non si sono più trovati a loro agio avendo perso due compagni, due certezze di tale peso; men che meno Ancelotti, lo scossone è stato forte e non gestibile in breve tempo (nonostante sia arrivato un trofeo e uno score di sette vittorie, un pareggio e due sconfitte stagionali. La classica situazione in cui sembrava tutto scritto dovesse andare così, un destino beffardo che ha scelto la maniera più brusca per mandare i titoli di coda. A proposito di titoli, in Baviera Ancelotti ne lascia tre: due Supercoppe, un Campionato. In 15 mesi vissuti tra difficoltà ed eventi troppo sfavorevoli per essere gestiti.