Difficile definire con un singolo termine l’europeo dei nostri azzurrini. C’è chi è rimasto tremendamente deluso dal livello delle prestazioni messe in campo - con parziali giustificazioni - ed invece chi guarda il bicchiere mezzo pieno, rincuorandosi con il pensiero che di quest’avventura, in fondo, si può cogliere qualche spunto positivo. Il presidente federale Carlo Tavecchio, precedentemente all’inizio della competizione, fissò come obiettivo minimo la semifinale, che sì, è stata conquistata dalla nostra nazionale, ma in modo più rocambolesco e fortuito di quanto si possa pensare. Con queste parole, non intendo mettermi in fila ai sostenitori della deprezzante campagna in atto verso Di Biagio ed i suoi ragazzi, ma la realtà è che (probabilmente) ci si attendeva molta più sicurezza da parte della squadra. 

È stato senz’altro un europeo in crescendo: dopo la timida (ma largamente meritata) vittoria contro la Danimarca, è arrivata la disastrosa sconfitta per 3-1 contro la Repubblica Ceca, alla quale abbiamo rimediato (grazie anche alla compartecipazione danese) con il successo di misura contro la Germania, valido per l’accesso alle semifinali, dove abbiamo incrociato la fortissima Spagna che ci ha battuto ancora una volta per 3-1, in una partita però molto combattuta. Le sfide contro Germania e Spagna (anche se hanno avuto esito differente) sono state disputate in maniera decisamente positiva, studiate con la buona preparazione tattica del tecnico, ma soprattutto giocate con l’intraprendenza, la qualità, ed il carattere che ci si attendeva da parte dei nostri ragazzi. La macchia, che per molti resta tutt’ora indelebile, è rappresentata dal secondo match, quello perso per 3-1 contro la Repubblica Ceca. Dopo un esordio con qualche difficoltà imprevista contro la Danimarca, nell’affrontare Schick e compagni Di Biagio opta per un secco turnover, attuo a tenere fresca buona parte dei titolari per la delicatissima partita di 3 giorni dopo, contro la Germania. I cambi sono 4, e sono pesanti: in panca Gagliardini, Benassi, Caldara e Barreca; al loro posto Cataldi, Grassi, Ferrari e Calabria. Queste importanti modifiche hanno il loro impatto sul calcio espresso dall’Italia, costretta a giocare con un terzino di piede destro a sinistra, e con 2/3 del centrocampo del tutto inediti; fa discutere molto anche l’assenza tra gli 11 partenti di Federico Chiesa, protagonista in positivo nello spezzone di partita giocato contro la Danimarca 3 giorni prima. Di Biagio evidentemente credeva molto nelle sue seconde linee, che però non gli sono state per nulla d’aiuto; tra questi Ferrari è uno dei pochi a salvarsi, in una partita dove regnano confusione ed imprecisione, dove frenesia e solismi diventano protagonisti assoluti, e finiscono per inghiottire completamente gli azzurrini in un finale di gara drammatico. 

A questo punto abbiamo bisogno solamente di un miracolo, per continuare a sognare l’europeo: dobbiamo battere la Germania per 3-1, oppure vincere con qualsiasi risultato e sperare che la derelitta Danimarca freni la Repubblica Ceca. La vittoria per 3-1 è l’obiettivo principe per i ragazzi di Di Biagio, che dopo la balbettante prestazione con la Danimarca, e quella pessima contro la Repubblica Ceca, decide di dare per la prima volta una svolta tattica: privarsi del centravanti di riferimento Andrea Petagna, sostituito da Bernardeschi come falso nueve, e rinfoltire la linea di centrocampo con Chiesa, che insieme a Berardi presidia le corsie esterne, e Gagliardini-Pellegrini in mediana. Il risultato è un’ottima partita, nella quale l’Italia è spesso riuscita a rendere difficoltoso il classico giro palla basso dei tedeschi, e a guadagnare più volte il possesso in zona d’attacco grazie ad un pressing estremamente efficace, riuscendo a passare rapidamente in vantaggio con il gol di Federico Bernardeschi. Nel frattempo, da Tychy arriva la notizia che la Danimarca sta tenendo a bada la Repubblica Ceca, permettendo a Germania ed Italia, a condizioni inalterate, di superare insieme il turno. Così gli ultimi 15 minuti di partita si giocano più per non farsi male, che per cercare il gol. Possiamo dire che la vera Italia sia venuta fuori con i tedeschi, ma il passaggio del turno è maturato in maniera quasi del tutto fortuita, poiché dipeso da altre condizioni estranee alle nostre possibilità.

Il girone termina con l’Italia al comando, la quale dovrà sfidare la Spagna vincitrice del proprio girone B per guadagnarsi un posto in finale. Il gigante iberico è il grande favorito della competizione, ed arriva al match con tutti i favori del pronostico, accentuati dalle condizionanti assenze azzurre di Berardi e Conti. Di Biagio è costretto a tornare al 4-3-3 con il quale ha sistemato i suoi nelle prime due gare del girone, stavolta con Chiesa largo a sinistra e Calabria finalmente nella sua posizione di terzino destro. Gli avversari sono una squadra temibile, guidati da un tecnico giovane ed innovativo come Celades, che dona ai suoi ragazzi un assetto assai mobile dal centrocampo in avanti, con punti di riferimento quasi nulli e che cerca il controllo totale della gara attraverso il palleggio (tipico della nazionale maggiore roja). L’inizio della partita infatti lascia intuire che sarà la Spagna a coccolare il pallone, mentre l’Italia cerca di difendersi con grande intensità, e di ripartire rapidamente con mortifere transizioni, spesso agevolate dall’enorme numero di giocatori spagnoli oltre la linea di possesso. Ma anche se la rojita può contare sul predominio territoriale, l’Italia non si intimidisce e gioca a viso aperto questa partita: al termine dei 45 minuti siamo sullo 0-0, ma siamo noi ad aver creato la migliore palla gol con un fantastico inserimento di Lorenzo Pellegrini. È ad inizio ripresa che purtroppo accade un evento che sancisce assolutamente le sorti della gara: al minuto 50 infatti Gagliardini si fa espellere per doppia ammonizione, dopo un calcione nel primo tempo, un fallo tattico, e svariati interventi evitabili e gratuiti. Adesso si mette male, perché gli spagnoli, che già hanno riposato un giorno in più di noi, hanno tenuto ai box tutti i titolari nella terza gara del girone contro la Serbia. La condizione atletica è determinante in questo sport, e viene a galla soprattutto nelle frazioni finali della gara. Saul infila Donnarumma per 3 volte, dimostrando di essere ancora una volta il vero fuori quota di questa competizione, e rendendo vano il gol del momentaneo 1-1 di Bernardeschi. Gli azzurrini ci provano fino alla fine, con un coraggio ed una determinazione che raramente vediamo messa in campo da una squadra di under 23, ma il destino della partita è già scritto: la Spagna va in finale con la Germania, l’Italia rientra in patria. 

È stato un europeo ambiguo, iniziato con il freno a mano tirato, e successivamente giocato su livelli davvero altissimi. Rimane un peccato aver perso questa opportunità, perché sino all’espulsione di Gagliardini la nostra nazionale cadetta aveva serie possibilità di accedere alla finale. A Di Biagio, probabilmente, bisogna imputare (nello specifico) la mancata sostituzione del centrocampista dell’Inter, in un momento di palese disorientamento, oltre (in generale) ad un’idea di gioco chiara, netta, distintiva, che poteva valorizzare maggiormente elementi singolari che portavamo dentro alla nostra faretra. Le ultime due gare, le più complesse, sono state non a caso le migliori dal punto di vista di carattere, tenacia, voglia, ed entusiasmo. Questo rievoca il curioso trend che distingue la nostra nazionale (maggiore o cadetta che sia), che tende a faticare in contesti al limite del credibile, contro avversari molto meno quotati, ed invece ad esaltarsi nelle missioni più complesse. È stato un europeo “all’italiana”, sudato, sofferto, all’inizio pessimo, poi entusiasmante ed estremamente palpitante. Solo un dubbio mi resta incastrato tra le pieghe della mente: se Gagliardini non ci avesse lasciato in uno in meno contro la squadra più forte del torneo, cosa sarebbe successo nei 40 minuti finali di quella partita? Nessuno lo sa, ma di certo non avremmo perso 3 a 1..