Giocare in casa, davanti al proprio popolo. Giocare per il proprio popolo. Una Copa America da film cominciata con un film, "The 33", mostrato in anteprima ai 23 scelti da Jorge Sampaoli per la sua Roja, per la sua creatura, per la sua squadra, per la squadra di un paese intero. La storia dei minatori sopravvissuti sotto terra per 70 giorni. Una storia di forza e determinazione per caricare una squadra il cui obiettivo era quello di scrivere la storia, quello di regalare al Cile la prima Copa America, quello di entrare nell'élite. Ci sono voluti 120 minuti in finale per battere la squadra probabilmente più forte, più quotata, la vera favorita. 120 minuti di combattimento, di agonia, di energia, per poi decidere tutto ai rigori, dove gli errori di Higuain e Banega sono stati fatali all'Argentina.
Il Cile festeggia, Sampaoli festeggia la vittoria della Copa. Le lacrime di gioia di Gary Medel e, tra gli altri, di Aranguiz, protagonisti della finale, si scontrano con quelle di dolore dell'Albiceleste, sconfitta in una partita decisiva per il secondo anno consecutivo, dopo che Gotze dodici mesi fa aveva consegnato la Coppa del Mondo alla Germania. Martino non riesce a sollevare un trofeo come non ci era riuscito il suo predecessore, dopo aver avuto anche la palla-gol per vincerla, nel secondo minuto dei regolamentari, ma sul più bello Lavezzi e Higuain hanno pasticciato. Destino? Probabile. Soprattutto se l'ultimo rigore tocca a un simbolo come Alexis Sanchez, che gela Romero con uno scavetto. E il Nacional può esplodere in un tripudio di colori, di bianco, blu e rosso.
Lacrime anche per Sampaoli, argentino adottato dal Cile, cresciuto come tecnico nella nazione andina: coraggioso nel mettere in campo tre centrocampisti centrali a comporre una linea difensiva quasi improvvisata davanti a Claudio Bravo. E se Medel oramai ci è abituato, e lo dimostra con una prestazione perfetta, non lo sono Silva, scelto a sorpresa ed esordiente nella competizione, e soprattutto Marcelo Diaz, il salva-Amburgo, uomo di corsa, tenacia e tecnica sopraffina. In tre che non arrivano al metro e 80, con Isla e Beausejour a macinare kilometri sulle fasce. Re Arturo Vidal, il principe Charles Aranguiz e il Mago Jorge Valdivia in mezzo al campo, con i velocisti Vargas e Sanchez davanti.
Martino continua a dare fiducia allo stesso undici vittorioso con il Paraguay per 6-1 in semifinale, ma la sfortuna non lo assiste: Di Maria, che componeva il tridente iniziale con Messi e Aguero, si fa male prima della mezz'ora. Uno stiramento lo mette k.o., Lavezzi non lo sostituisce degnamente. Men che meno fa Higuain con il Kun. Lotta in mezzo al campo Mascherano da vero Jefecito, Pastore regala lampi di classe e Biglia porta solidità. La linea difensiva non vede Garay per la seconda sfida consecutiva, Demichelis però si dimostra solido e affidabile, mentre Otamendi non è perfetto come sa essere. Zabaleta e Rojo soffrono le sortite offensive sulle fasce, Romero fa il suo.
In campo è una vera battaglia, è intensità massima sin dalle primissime battute, si fa fatica a trovare spazio e le occasioni tardano ad arrivare: bisogna crearsele con la forza fisica, spesso anche con il gioco duro. Roldan tende a lasciar correre, come da tradizione in questa competizione. Il piano partita del Cile è chiaro e funziona: ingabbiare Messi, ricorrendo anche a un "fallo sistematico" quasi di ispirazione cestistica. L'asso del Barcellona si trova spesso e volentieri raddoppiato, anche triplicato se è il caso, non riuscendo quasi mai a trovare i suoi spunti. Migliore l'impatto sulla gara di Di Maria, autore anche di un numero da circo, ma il suo talento è direttamente proporzionale alla sua sfortuna: lo mette fuori gioco un probabile stiramento durante uno scatto in contropiede, dopo averne bruciati due. Il suo sostituto designato è un poco incisivo Lavezzi.
La prima occasione si presenta dopo 10 minuti sul destro di Arturo Vidal, centravanti aggiunto e allo stesso tempo interditore magistrale: il suo calcio è sporco, Romero in qualche modo provvede a salvare la sua porta. Il dirimpettaio dell'ex Sampdoria Claudio Bravo si esibisce in una parata di puro riflesso al 20' sull'incornata ravvicinata di Aguero. Sono di fatto gli unici due tiri in porta di un primo tempo fatto di botte sempre leali, mai oltre le righe se escludiamo in calcio in pancia comunque involontario rifilato da Medel a Messi: il pit-bull si fa ammonire, e la stessa sorte tocca ai due partner di difesa.
Limitare il tridente dell'Albiceleste giocando una partita con un cartellino giallo non è facile, ma grazie all'aiuto sulle due fasce e in mezzo al campo dei centrocampisti la vita non è così complicata: Lavezzi in chiusura di primo tempo ci prova di piatto, non creando problemi a Bravo, azione quasi fotocopia di quella che aveva provato Alexis Sanchez poco prima. Una prima frazione con la prima mezz'ora giocata a grandissima intensità prima di calare negli ultimi 15 minuti, una lentezza che si protrae anche nella ripresa, con il Cile che ha un impatto decisamente migliore e va alla conclusione con Vidal dopo soli 30 secondi, un colpo di testa complicato su cross di Sanchez preda di Romero, in presa sicura.
Dopo 10 minuti di assenza ma due ammoniti, Rojo e Mascherano, decide di scendere in campo anche l'Argentina, abbozzando un mezzo assedio di un quarto d'ora che porta a poco o nulla: tanti tiri dalla bandierina sciupati, poca qualità offensiva per una squadra con così tanto talento. Martino opta per l'inserimento di Higuain e Banega, decisivi al contrario poi ai rigori, togliendo Pastore e Aguero, mentre Sampaoli vuole più velocità con Mati Fernandez al posto di Valdivia. L'uomo più pericoloso del Cile è però quello probabilmente di maggior talento, ovvero Alexis Sanchez: all'82' riceve un lancio lungo dalle retrovie e cerca una girata al volo col destro che sibila a lato del palo.
Un brivido, ma non l'ultimo dei regolamentari, perchè a trenta secondi dal termine del secondo e finale minuto di recupero l'Argentina si distende in contropiede: Messi apre a sinistra per Lavezzi, il Pocho vorrebbe pescare Higuain sul palo opposto ma la mette leggermente lunga, il Pipita ci arriva comunque e ha un buon angolo di tiro, pecca però di freddezza e trova solo l'esterno della rete, costringendo la partita ai supplementari. Una mezz'ora di sofferenza, crampi e grinta: solo Sanchez ne ha ancora, ed è anche l'unico che riesce a creare un palla gol, complice un liscio clamoroso di Mascherano. Il fuoriclasse dell'Arsenal crede nel pallone, si lancia in campo aperto subendo il pressing di Zabaleta al momento del tiro, che termina di un soffio sopra la traversa.
Sampaoli aveva scelto di affiancare Henriquez al Nino Maravilla per i supplementari, ma il suo impatto è nullo, e il destino decreta i calci di rigore. Mati Fernandez e Messi aprono le danze con due penalty impeccabili, Romero tocca il pallone calciato da Vidal ma non riesce a evitare il gol. Tocca a Higuain, che la spara in cielo, rivedendo i fantasmi di Napoli-Lazio. Aranguiz va rasoterra alla sinistra del portiere e trova la rete, Banega calcia troppo debolmente e Bravo para, regalando quattro match-point. Ne basta uno solo, perchè tocca all'uomo del destino, tocca ad Alexis Sanchez: un mezzo scavetto dolce dolce, centrale, beffardo per Romero e per tutta l'Argentina intera.
Alla fine è 4-1 il conto: al Nacional di Santiago è un tripudio di bandiere, la Roja di Sampaoli è campione del Sudamerica per la prima volta nella sua storia. Lo fa in casa, davanti al suo pubblico, davanti a quei 33 minatori presenti per l'occasione, quelli che hanno commosso il Cile e il mondo intero nel 2010. Le lacrime sono di gioia, la Roja ha chiuso il cerchio e ha scritto la storia.