Quando dici Brasile-Uruguay non puoi non pensarci. Il disastro del Maracanã, il “Maracanazo”. Schiaffino e Ghiggia: due nomi scolpiti a fuoco, per sempre, nella storia del calcio mondiale e brasiliano. La vittoria della Celeste nel tempio del calcio mondiale. Duecentomila brasiliani ammutoliti. Dieci infarti e due suicidi nello stadio. 36 suicidi e 56 morti per infarto in tutto il paese. Il Brasile proclamò tre giorni di lutto nazionale. Era il 1950, dopo quel disastro la Seleçao non giocò più partite fino al 1952 e cambiò addirittura i colori di quella maglia maledetta; dal bianco col colletto blu, si passò all'azzurro con pantaloncino bianco, per arrivare alla definitiva versione verdeoro ai Mondiali del 1954. Insomma, una divagazione necessaria per introdurre la semifinale della Confederations Cup perchè siamo sicuri che in Brasile, ogni volta che la nazionale incontra l'Uruguay, è come se si riaprisse una ferita mai totalmente cicatrizzata. In fin dei conti sono passati giocatori, fenomeni e campioni, eppure le due squadre sono ancora lì, con il piccolo Uruguay – soli tre milioni e mezzo di abitanti – a fare la voce grossa, incastrato nell'odio eterno fra i giganti brasiliani e argentini. Sogni e ambizioni che si intrecciano con storie di amori e passioni, di crescita e speranze. Due nazionali che sorreggono il peso di un intero paese. Lì dall'altra parte dell'oceano, dove il calcio è vissuto come una religione.
Alle ore 21 di mercoledì sera prenderà il via una partita fra due squadre che vanno e vivono a corrente alternata. Da una parte un Brasile che s'illumina di “luce Neymar”. Dall'altra un Uruguay che cerca di ritrovare quella bellezza che sembra essere svanita dopo l'ultimo Mondiale e l'ultima trionfale Coppa America. Il Brasile è in costruzione e cerca una dimensione nel ricambio generazionale dopo il buco del decennio Ronaldo-Dinho. Il vero obiettivo non è la Confederations Cup, anzi, guai a fallire l'appuntamento con i Mondiali in casa (vedi 1950). La squadra, al momento, è apparsa in grado di accecarci per la bellezza del suo gioco e con la stessa rapidità di incartarsi in una manovra impacciata e passateci il termine, “raggomitolata”. Bene col Giappone, male con il Messico, principessa a tre-quarti con l'Italia. Per fortuna degli entusiastici sostenitori brasiliani c'è un certo Neymar che sta facendo impazzire il mondo. Sarà pure un simulatore ancora un po' irriverente, ma ha tutti i numeri per diventare il nuovo Re del calcio mondiale. La strada è lunga, ma è quella giusta. Non è da sottovalutare, comunque, l'intelaiatura della macchina di Scolari. Julio Cesar, Dani Alves, Thiago Silva, Dante, Luiz Gustavo, Oscar non li trovi certo in tutte le squadre.
Dall'altra parte c'è un Uruguay che ha un'identità indefinita. Tritato dalla Spagna nella gara d'esordio, si è salvato grazie ad un girone di scarso livello, imponendosi 2-1 sulla buona Nigeria e travolgendo Tahiti per 8-0 (la Spagna gliene ha fatti 10). La squadra è lontana parente da quella ammirata due anni fa: incapace di supportare un attacco da far invidia al Brasile stesso (Cavani-Suarez, ma quando ricapita più all'Uruguay), ha una difesa da brividi veri. A centrocampo fanno quello che possono, cioè picchiano duro. Ma spesso non basta. Contro la Spagna, per lunghi tratti, neanche i falli erano in grado di commettere.
Il sindaco di Belo Horizonte ha stabilito che, vista la partita, nella capitale sarà un giorno di festa: scuole e uffici pubblici resteranno chiusi. Arbitrerà il signor Enrique Osses, eletto miglior arbitro del Sudamerica lo scorso anno. Il pronostico, se il Brasile gioca almeno come nel primo tempo con l'Italia, sembra segnato e anche i precedenti lasciano poco spazio all’immaginazione: negli ultimi 6 incontri l’Uruguay non ha mai battuto i vicini di casa, l’ultima volta che ci riuscì era il lontano 2001. Altro calcio, altri interpreti, stessa magia. Non per niente, ma gli Dei del calcio si sa, sono piuttosto volubili e hanno sempre in serbo un colpo di teatro. Per ulteriori info chiedere a Schiaffino e Ghiggia.