Lo sweep rifilato dai Golden State Warriors ai Cleveland Cavaliers nelle NBA Finals appena andate in archivio ha dato ragione a chi prevedeva una sfida squilibrata, con i Dubs troppo forti per i Cavs. La serie è stata però decisa da gara-1, quella della parità a quota 108, con George Hill a sbagliare il tiro della possibile vittoria, J.R. Smith a catturare il rimbalzo e a tornare indietro, prima dei supplementari dominati dai Warriors. Da lì in poi la strada è stata in discesa per Golden State, nonostante l'orgoglio di LeBron James e compagni in gara-3. Conclusesi con un eloquente 4-0, queste Finals hanno comunque offerto spunti tecnici di estremo interesse:
- Gara-1, la superficialità di Golden State e il dominio di LeBron James. Riavvolgendo il nastro della serie, gara-1 è stata quella dell'occasione persa dai Cavs. Non solo per gli errori nel finale, ma anche perchè Cleveland aveva giocato con razionalità e intensità per tutti i quarantotto minuti dei regolamentari. In difesa ecco la tattica Houston: cambi selvaggi per togliere ritmo agli avversari, in attacco un LeBron inarrestabile, strapotente al ferro, bollente con il tiro dalla media e lunga distanza. Golden State ha rischiato a lungo, nonostante uno Steph Curry elettrico, non ha messo in campo la solita intensità difensiva, ma nel supplementare si è svegliata, con Draymond Green e Klay Thompson decisivi.
- Gara-2, gli aggiustamenti di Steve Kerr. Una mossa di cui si è parlato relativamente poco è stata quella di Steve Kerr in gara-2, che ha inserito in quintetto JaVale McGee e tolto Kevon Looney, in chiara difficoltà contro LeBron. In questo modo Golden State ha trovato maggiore equilibrio in difesa, con Draymond Green altro uomo da sfruttare contro James (oltre a Kevin Durant), e soprattutto verticalità e rapidità nel (finto) pick and roll in attacco, chiuso da McGee con diverse schiacciate (alcune anche mancate). Ma Cleveland è rimasta in gara fino all'inizio del quarto, nonostante un LeBron non straripante (ma con una mano fratturata, o quasi): poi le triple di Steph Curry hanno fatto calare la mannaia dei Warriors sui derelitti Cavs.
- Gara-3, arrivano Kevin Durant e Andre Iguodala. In difficoltà per tutto il primo tempo, con Curry a sparare a salve e contro una Cleveland che invece ha trovato la via del canestro anche con il supporting cast (non solo Kevin Love, ma anche J.R. Smith, Rodney Hood e George Hill), Golden State si è ritrovata a fare i conti con i raddoppi avversari. Curry ha inizialmente faticato nel leggerli: il movimento di uomini e palla è diminuito. Ma Kevin Durant ha tenuto in piedi i californiani anche con una pallacanestro di isolamento. Una prestazione straordinaria, condita nel finale da una tripla da cinema e dal contributo di Andre Iguodala, il veterano rientrato dopo sei gare di assenza che ha cambiato la squadra in difesa (gli Hamptons Five, nuova versione del death lineup) e dato alternative in attacco, non solo come passatore.
- Gara-4, la resa. Al di là di un secondo quarto di nervi, Cleveland ha mollato sin dalla palla a due. Nessuno aveva mai rimontato una serie NBA sotto 3-0. Non potevano farlo i Cavs di quest'anno, con un LeBron malconcio, convinto che l'occasione per giocarsela (non per vincere) fosse già stata sprecata, e con il resto dell'ambiente ad attendere con timore il futuro. Non hanno invece sbagliato i Warriors, che sono sembrati davvero inarrestabili sui due lati del campo. Contro i raddoppi su Curry e Durant hanno banchettato i vari Jordan Bell, Nick Young e David West (per non parlare degli stessi Livingston, Iguodala e Draymond Green, questi ultimi sfidati al tiro da tre). Klay Thompson (distorsione alla caviglia) ha inciso solo nel secondo tempo, ma Steph Curry ha imperversato dall'inizio alla fine. Risultato scontato, meno dell'esito delle votazioni per l'MVP delle Finals, premio andato a Kevin Durant piuttosto che al numero trenta della squadra della Baia, che però resta il giocatore per eccellenza del sistema di Kerr.