Se, come sempre sostenuto da Pat Riley, una serie comincia solo quando una squadra vince in trasferta, allora possiamo metterci comodi, perchè il grande spettacolo tra Houston Rockets e Golden State Warriors è solo agli albori. Gara-1 di Finale della Western Conference al Toyoya Center è stata dei Dubs, più completi e poliedrici rispetto ai texani, alla lunga avvitatisi sugli isolamenti di un pur strepitoso James Harden (41 punti, con 14/24 dal campo) e di un (forse troppo) frenetico Chris Paul (23 punti, 8/17, 11 rimbalzi e 9 assist). Decisivo Kevin Durant (37 punti, con 14/27), spalleggiato da un gran Klay Thompson (28, 9/18) e da un sistema che non lascia mai indietro nessuno. Ecco le prime risposte della serie dopo gara-1:
- Il fuoco di Houston. Tripla senza ritmo di Harden, stoppata di Capela. I primi secondi della sfida contro i Warriors hanno consegnato agli appassionati NBA dei Rockets affilatissimi, partiti a razzo sui due lati del campo e con un'intensità davvero da playoffs (subito dopo, tecnico a Draymond Green). E' stata la spallata di cui c'era comunque bisogno, ma non è bastata, perchè Golden State ha cavalcato il suo sistema (trust the system) tenendosi a galla con Kevin Durant.
- Gli Hamptons Five, la scelta di Kerr. Draymond Green, Andre Iguodala, Klay Thompson, Stephen Curry. Tutti ad Hampton, Los Angeles, nell'estate del 2016, per convincere Durant a unirsi a loro. Steve Kerr si è affidato così al nuovo Death Lineup, un quintetto piccolo per alzare il ritmo e cambiare a ripetizione. Spariti McGee e Pachulia, spazio solo a Kevon Looney e solo in parte a David West come unici lunghi (oltre a Green, s'intende).
- Kevin Durant, l'oro dei Warriors. La prova di KD è stata talmente maestosa da far quasi dimenticare che Golden State è riuscita in passato a vincere un titolo (e mezzo) anche senza di lui. Canestri senza ritmo, faccia e spalle a canestro, un clamoroso controllo emotivo sulla gara. E' Durant il nuovo padrone dei Warriors. Non da oggi (è stato MVP delle ultime Finals), ma forse mai in maniera così evidente.
- Harden contro tutti. Gli Houston Rockets, abituati a tirare da tre contro tutto e tutti, hanno finito per trasformarsi (quantomeno in gara-1) in James Harden contro tutti. Il Barba è stato straordinario per tutto il primo tempo, chiuso senza palle perse, ma alla lunga i suoi isolamenti hanno agevolato Golden State, che ha stretto un paio di viti in difesa e atteso che le percentuali e soprattutto le energie del Barba calassero. L'MVP in pectore ha chiuso con la lingua penzoloni. Urgono alternative a uno contro uno ripetuti e pick and roll utilizzati fino allo sfinimento insieme al pur ottimo Clint Capela.
- Il concetto di cambio. Come anticipato in sede di presentazione, il concetto di cambio è stato esasperato nella sfida tra Rockets e Warriors, anche perchè D'Antoni ha risposto per alcuni minuti con il quintetto con soli esterni, con anche Ryan Anderson in campo. Houston ha cercato a lungo Steph Curry come anello debole della catena avversaria, lo ha messo nel frullatore, ottenendo contro di lui punti dal solito Harden, primo del calo finale. Dall'altra parte nessuno è stato in grado di tenere Durant, inarrestabile contro qualsiasi avversario.
- Il flusso di Golden State. Nonostante un avvio choc, Golden State ha continuato a macinare la sua pallacanestro, fatta di ritmo e di giochi per Durant (inutile nascondersi, anche i Warriors vanno dal loro miglior giocatore in situazioni di emergenza), dimostrando una varietà di opzioni dettata da interpreti che pretendono meno la palla in mano rispetto a Harden e Paul. Klay Thompson è stato esiziale nei movimenti dal lato debole, tra tagli e triple, Steph Curry, non al top, si è riscattato nel secondo tempo con una palla rubata a un paio di penetrazioni.
- Draymond Green, Sturm und Drang. Impeto e assalto. Impossibile definire diversamente l'approccio alla gara dell'Orso Ballerino da Michigan State, che ha iniziato acceso come una pila elettrica, con un tecnico e un altro paio di falli a carico. Ma Green rimane l'uomo barometro dei Warriors, sia in difesa, dove aiuta e protegge il ferro, sia in attacco, dove sapientemente fa muovere la palla.
- Chris Paul, l'uomo chiave. CP3 ha segnato con continuità nel primo tempo, ma la sensazione è che abbia voluto replicare le giocate di Harden. Il Barba e i suoi isolamenti bastano a Houston, che non ha bisogno di un doppione agli stessi ritmi. Da gara-2 Paul dovrà essere la mente lucida dei Rockets, quella che muove la palla e mette in ritmo i vari Gerald Green, Eric Gordon (positivo stanotte), P.J. Tucker e Trevor Ariza.
- L'esperienza, fattore pro Warriors. Aggrediti dalla palla a due, i Warriors non si sono fatti intimidire dall'inizio emotivo e tecnico dei Rockets. Anni sulla cresta dell'onda hanno fatto la differenza. Golden State era pronta alla battaglia, combattuta fino alla fine senza cedimenti. Andre Iguodala, ormai non più lo stesso atleta che ha vinto il premio di MVP delle Finals 2015, ha rappresentato l'esemplificazione del concetto.