L'All-Star Game 2018 verrà ricordato come quello della svolta, quello che ha riavvicinato alcuni (non tutti) appassionati di pallacanestro all'esibizione delle stelle. La kermesse dello Staples Center di Los Angeles ha offerto per un paio di giorni il solito e tradizionale spettacolo, soprattutto nella notte tra sabato e domenica, con un nuovo vincitore del Three Point Contest, il giovane Devin Booker dei Phoenix Suns, e con una gara delle schiacciate estremamente equilibrata, in cui a spuntarla è stato alla fine il rookie degli Utah Jazz Donovan Mitchell.
Ma hanno impressionato anche Larry Nance (appena passato ai Cleveland Cavaliers) e Dennis Smith (speranza dei Dallas Mavericks), in un sabato tutto giovane, se si pensa anche lo Skill Challenge ha visto tra i protagonisti il finlandese Lauri Markkanen (Chicago Bulls) e il sorprendente Spencer Dinwiddie (Brooklyn Nets). L'evento più atteso era però ovviamente rappresentato dalla partita delle stelle della domenica, contraddistinta da un nuovo formato. Non più Est contro Ovest, ma due squadre "miste", con due capitani. Da una parte Stephen Curry, dall'altra LeBron James, i più votati nelle settimane precedenti all'appuntamento di Los Angeles. Curry contro James significa anche Golden State Warriors contro Cleveland Cavaliers, una rivalità già durata per tre anni e che potrebbe rinnovarsi in finale. Stavolta le due squadre hanno messo in piedi uno spettacolo quantomeno decente, soprattutto nel finale, quando la partita è rimasta punto a punto e a spuntarla è stato il Team LeBron. James ha dato grande importanza all'evento e - ciò che più conta - è apparso ancora una volta rivitalizzato, sull'onda lunga degli effetti benefici delle trade che pochi giorni prima avevano coinvolto i suoi Cleveland Cavaliers. Il Prescelto ha dominato la scena nel finale, sia in attacco - tripla e canestro nel traffico - che in difesa, impedendo a Curry (anche e soprattutto grazie all'aiuto di Durant) di trovare la tripla dell'overtime. Paradossale come LBJ abbia difeso più in quei pochi secondi dell'All-Star Game che nel resto della stagione con la maglia di Cleveland, squadra a lungo allo sbando, fino alla già citata trade deadline.
Ma ora James ha cambiato rotta. Via l'atteggiamento da scioperante di inizio 2018, spazio a un nuovo attivismo, perchè i suoi Cavs sono nuovamente la squadra di riferimento a Est, candidati alla quarta finale consecutiva, e perchè c'era da mandare un segnale forte agli avversari, Celtics, Raptors, Warriors e Rockets che fossero. LeBron c'è, non ha intenzione di lasciare per strada questa stagione, ma vuole competere per il titolo fino alla fine, nonostante l'addio di Kyrie Irving e tutte le difficoltà che ne sono derivate. James ha dominato la scena anche per un altro motivo: un All-Star Game svoltosi a Los Angeles ha ovviamente fatto riecheggiare le solite suggestioni su un suo passaggio ai Lakers dalla prossima stagione. Con player option a disposizione, LBJ sarà infatti chiamato a scegliere, a partire da metà giugno in poi, dove "portare i suoi talenti". Cleveland rimane ovviamente una possibilità, ma i gialloviola hanno lo spazio salariale per poter sognare. Ci proveranno anche gli Houston Rockets, a detta degli insider NBA, i Philadelphia 76ers e tutte le franchigie che penseranno di avere una chance reale. Perchè l'NBA rimane la lega di LeBron James. A 33 anni il Prescelto non mostra cali atletici di alcun tipo, ha la fame dei grandi ed è il riferimento mediatico principale di un intero movimento, che da quindici anni ne scrutina ogni possibile mossa. MVP della gara delle stelle, LeBron sta già pensando al prossimo obiettivo: riportare i Cavs in finale per agguantare il quarto anello della carriera.