Lacrime, poche, stavolta, è un Paul Pierce sorridente quello che torna in quel TD Garden che lo ha visto dominare, e vincere, così tante volte, fino allo storico titolo 2008.
Un ritorno, già, perché alla fine della partita contro i Cavaliers (persa malamente 121-99) i Boston Celtics hanno comunque festeggiato, in occasione del ritiro della casacca numero 34, ora appesa permanentemente al soffitto del Garden, lì dove osano spingersi solo le leggende, a scrivere il proprio numero accanto ai 17 stendardi delle finali vinte. 17 trofei identici a quello che The Truth ha mostrato, ieri, a tutti i presenti, trattenendo a stento le lacrime mentre dagli spalti pioveva un assordante “Thank You”.
“Anche se non arriverò nella Hall Of Fame o nulla del genere, già solo vedere il mio numero tra quelli ritirati dai Celtics è abbastanza. Per me è abbastanza. Tutto il resto sarà la ciliegina sulla torta, perché una volta che diventi un Celtic, lo sei per sempre”. Questo il commento di PP, che arriva dopo 21 giocatori che hanno avuto lo stesso onore. Accanto al suo 34, nello stesso striscione con Johnson (3), Bird (33), McHale (32), Lewis (35),Parish (00) e Maxwell (31), c’è ancora uno spot liberi, che verosimilmente sarà assegnato presto a Kevin Garnett, altro eroe di quel titolo di dieci anni fa. Ovviamente KG era presente a bordo campo, così come coach Doc Rivers e Rajon Rondo, in una tripletta di poltroncine da far impazzire qualsiasi tifoso dei leprecauni. Desaparecido, invece, Ray Allen, che aveva rotto totalmente con i suoi ex-compagni dopo la decisione, a quanto pare non discussa né condivisa in spogliatoio prima del tempo, di unirsi agli Heat, in quegli anni diretti rivali per la conquista del titolo. Sul suo profilo Instagram, “He got game” si è invece fatto immortalare, forse un po’ beffardamente, su un campo da golf.
Proprio Rivers ha parlato, a modo suo, di Pierce: “Qualcuno di recente mi ha chiesto di descriverlo con una parola. Voi direste ‘Truth’ [dopo che il pubblico lo aveva urlato, ndr], io direi ‘Clutch’". Inutile dirlo, ovazione.
Presenti, invece, anche se non fisicamente, Magic Johnson e Kobe Bryant, leggende degli acerrimi rivali Lakers, che hanno omaggiato Pierce tramite un video proiettato all’interno dell’arena, che alternava le loro voci a quelle di altri fan, più o meno famosi.
Anche il diretto interessato si è detto particolarmente emozionato: “Non me l’aspettavo, specialmente da rivali storici, mi aiuta a realizzare l’impatto che ho avuto ed il rispetto che ho avuto durante la mia carriera”. “L’ha detto Kobe, l’ha detto LeBron. Non ero il tipo di giocatore sempre sotto i riflettori, non avevo scarpe con la mia firma in cima alle classifiche di vendita, non facevo pubblicità, ma godevo di un buon rispetto, la gente sapeva che quando arrivavo io dovevano essere pronti. Questo omaggio vuol dire tanto per me, perché Magic Johnson era il mio idolo e Bryant il mio rivale. Vuol dire tanto”.
Discorsi commoventi, per rendere onore ad una leggenda della Lega, sono arrivati anche dal proprietario Wyc Groudbeck e dal presidente, Danny Ainge, che hanno parlato al centro del campo, davanti a Pierce, a sua moglie ed ai suoi tre figli, ed addirittura a sua madre, “vittima” di una splendida dedica, così come i bambini: “Mi emoziono sempre tanto parlando dei miei figli, perché non hanno avuto occasione di vedere gran parte della mia carriera. Ora possono vedere loro padre, quanto è stato amato in questa città e quanto sia riuscito a creare una dinastia. Ogni volta che torneranno, potranno dire ‘ecco, quello lassù è il numero di papà!’”.
Come parte della cerimonia, i Celtics hanno anche trasformato il tunnel che porta al campo nel “Paul Pierce Players’ Tunnel”, con tanto di autografo stampato sul muro, per ricordare a tutti i giocatori “cosa vuol dire davvero essere un Celtic.
Insomma, allenatori, compagni, rivali, appassionati, esperti, tutti riconoscono a Paul Pierce un’ascendente incredibile nell’NBA dell’ultimo decennio: proprio quella sua annata da urlo, culminata con il titolo ed il trionfo da MVP delle finali, ha lanciato The Truth nell’olimpo. Un giocatore dal talento sconfinato, esemplare per tenuta mentale dentro e fuori dal campo, leader dello spogliatoio ed allo stesso tempo amico di tutti. La sensazione è che il ritiro della maglia sia solo il primo di una serie, prevedibilmente lunga, di premi atti a celebrare una delle carriere più brillanti dell’NBA del ventunesimo secolo.