Se l'offseason dei New York Knicks aveva lasciato perplessi sia tifosi che addetti ai lavori (addio a Carmelo Anthony, scambiato per Doug McDermott ed Enes Kanter, presa al Draft di Frank Ntilikina, difficoltà sul mercato dei free agents, con il ritorno dello strapagato Tim Hardaway), l'inizio di stagione della squadra della Grande Mela è stato sinora caratterizzato dalla definitiva esplosione di Kristaps Porzingis. Il lungo lettone, fortemente voluto da Phil Jackson (nella notte criticato velatamente da LeBron James per non avere scelto Dennis Smith all'ultimo Draft), sta letteralmente prendendo per mano i Knickerbockers, avendo segnato 30 o più punti in otto delle undici gare sin qui disputate.
Assente solo a Orlando, dove per New York è arrivata non a caso una sconfitta, Porzingis è stato decisivo anche nell'ultima gara, vinta in scioltezza contro i Sacramento Kings al Madison Square Garden, dopo essere stato in precedenza protagonista di alcune belle rimonte sul parquet di casa. I suoi 34 punti, con 21 tiri in 27 minuti, sono il manifesto del suo inizio di stagione: assolutamente immarcabile in attacco, dove al gioco fronte a canestro ha aggiunto anche quello in post, il lettone è stato seduto nel quarto quarto, di puro garbage time: "Sì, oggi mi sentivo bene, avrei potuto segnare di più, mi sarebbe piaciuto rimanere in campo più a lungo", la sua chiosa, davanti ai taccuini di Ian Begley di Espn. Salutati Anthony e Rose, i Knicks non sono più un "superteam" di figurine, ma una squadra con dei limiti ben precisi, di cui pare esserci però consapevolezza nello spogliatoio, come spiegato anche dal diretto interessato, che mette l'accento sulle differenze con la disastrosa e confusa passata stagione: "All'inizio dello scorso anno abbiamo giocato sopra il 50% tra vittorie e sconfitte, ma solo basandoci sul nostro talento e sulla nostra energia, senza i benchè minimi fondamentali di squadra. Quest'anno la differenza sta nel fatto che giochiamo duro e proviamo a difendere per tutti e quarantotto i minuti, senza mollare mai. Stiamo mettendo a referto molti più assist, stiamo giocando insieme, di squadra, passandoci la palla. In questo modo tutti sono coinvolti e pericolosi per gli avversari. Penso che in questa stagione siamo decisamente più connessi come gruppo. I numeri relativi alla nuova difesa sono importanti, l'anno scorso eravamo confusi, non avevamo piena fiducia gli uni negli altri, e neanche nel sistema. Ora invece camminiamo tutti dalla stessa parte, sapendo che in alcune partite il nostro gioco funzionerà bene, mentre in altre meno. Ma ora sentiamo che, giocando e continuando così, ogni partita può essere vinta".
Eppure, nell'ambiente dei New York Knicks, c'è anche chi attribuisce i meriti di una buona partenza all'allenatore, Jeff Hornacek, ex Phoenix Suns, che lo scorso anno non fu in grado di assemblare una squadra competitiva per i vari contrasti all'interno della franchigia. Hornacek, in bilico a inizio stagione, ha per ora convinto il general manager Scott Perry e il presidente Steve Mills: dopo un avvio da 0-3, i Knicks sono infatti ora 7-5 come record tra vittorie e sconfitte. "Ha fatto un grande lavoro - le parole del veterano Jarrett Jack, ora in quintetto come playmaker, su Hornacek - io e lui siamo riusciti a costruire un buon rapporto. Come giocatore sono una sua estensione sul campo, e ora sono in grado di capire cosa vuole da noi giocatori e come posso aiutare i miei compagni di squadra. Ecco perchè penso che lui, come tutto il coaching staff, abbia fatto davvero un buon lavoro". L'inizio difficile non ha spaventato Hornacek, che ha spiegato al suo frontoffice che i risultati non sarebbero arrivati immediatamente, ma che con il lavoro continuo, con l'applicazione sul campo e con una feroce concentrazione, i Knicks avrebbero cambiato registro. Una questione di cultura, secondo Tim Hardaway: "Il nostro staff sta facendo del suo meglio per provare a costruire una nuova cultura - le sue parole - dobbiamo trovare una nuova identità facendo un passo alla volta. Gli allenatori sono fenomenali nel tenerci con i piedi per terra, assicurandosi che tutto vada per il verso giusto, soprattutto in allenamento, e che ogni cosa sia fatta al top, che la concentrazione non manchi mai. Mi sembra quasi di essere tornato al college, per l'attenzione ai dettagli, e per la concentrazione che c'è in ogni momento: una sensazione che mi piace".