La lunga traversata nel deserto è appena iniziata. Stop alle aspirazioni da contender, alle attese per il ritorno ad alti livelli di Derrick Rose, per l'esplosione definitiva di Jimmy Butler o per il rendimento di veterani instabili come Rajon Rondo. Dalla stagione 2017/2018 i Chicago Bulls imboccano la via senza ritorno del rebuilding, l'unica possibile dopo annate storte, caratterizzate dagli infortuni a ripetizione occorsi al loro giocatore franchigia (Rose, appunto) e da maldestri tentativi di accreditarsi come squadra orientale anti-LeBron James, prima contro i Miami Heat, poi contro i Cleveland Cavaliers.
La svolta definitiva al futuro della franchigia della Windy City l'hanno data John Paxson e Gar Forman, duumvirato che regge i destini dell'organizzazione, durante la notte del Draft, con la scelta di scambiare Jimmy Butler, unico giocatore di livello rimasto a roster, ceduto ai Minnesota Timberwolves per la settima chiamata assoluta (concretizzatasi nel nome del finlandese Lauri Markkanen), Zach LaVine e Kris Dunn. Un cambio di rotta deciso, perchè nelle ultime stagioni i Bulls avevano provato in tutti i modi a rimanere competitivi, prima sfruttando la gestione Tom Thibodeau (da cui è tornato lo stesso Butler), poi provando l'esperimento Pau Gasol, infine ingaggiando un allenatore giovane come Fred Hoiberg. Nulla di tutto ciò è servito per tornare in Finale di Conference, traguardo raggiunto solo nel 2011, annata di grazia di Rose, mentre la postseason è stata comunque centrata in otto occasioni negli ultimi nove anni (out solo nel 2016), a dimostrazione di una certa solidità. Ma dei Bulls che hanno perso la serie contro i Boston Celtics lo scorso aprile è rimasto ben poco: via Rajon Rondo, tagliato senza troppi complimenti e ora finito ai New Orleans Pelicans di Anthony Davis e DeMarcus Cousins, addio a Jimmy Butler, gran presa al Draft del 2011 (numero trenta, alla fine del primo giro), di giocatori esperti e di alto livello è presente tra le fila dei Tori il solo Dwyane Wade, il cui destino è peraltro incerto. Flash, che aveva scelto Chicago per un ricco biennale da quasi cinquanta dollari complessivi, è infatti attualmente un pesce fuor d'acqua nel roster dei Bulls, che comprende al suo interno quasi esclusivamente ragazzi giovani. Di qui le trattative per il buy-out, la buonuscita che potrebbe risolvere la vicenda con soddisfazione di entrambe le parti. Già, perchè se Wade ha ancora ambizioni di titolo, la franchigia della Windy City è tra le principali candidate a occupare i bassifondi del mondo NBA, almeno per la stagione che sta per prendere il via.
In attesa di risolvere la grana Nikola Mirotic, altro giocatore di buon livello che non ha ancora deciso il suo futuro (è restricted free agent e non ha ancora accettato la qualifying offer da 7.2 milioni di dollari proposta dal frontoffice dello United Center), Chicago spera di costruire le fondamenta del proprio futuro partendo da Lauri Markkanen, il finlandese scelto con la settima moneta all'ultimo Draft, e che ha impressionato agli ultimi Europei con la maglia della sua nazionale. Power Forward di 213 centimetri, Markkanen ha tutto per sfondare: tiro con range pressochè illimitato, gioco in post, conoscenza della pallacanestro, velocità di piedi, movimenti alla Nowitzki e le stigmate del predestinato. Gli manca un ambiente in cui crescere con tranquillità (chiedere a Kristaps Porzingis per informazioni) e un contesto tecnico in cui non gli sia chiesto tutto e subito. Sarà questo il compito di Fred Hoiberg, coach ancora indecifrabile dopo due stagioni da professionista, chiamato a gestire un gruppo di ragazzi che non hanno altra possibilità se non investire su se stessi. E' il caso di Kris Dunn, sophomore da Providence, point guard esplosiva che a Minneapolis non ha reso secondo le aspettative, di Denzel Valentine, tiratore ma non solo, al secondo anno da Michigan State, del tedesco Paul Zipser (stimato da Hoiberg), oltre che dei vari Cameron Payne (playmaker ex Thunder, attualmente infortunato) e Bobby Portis, ala ancora da svezzare. Tutti giocatori intorno ai 22-23 anni, che costituiscono il presente (alcuni anche il futuro) dei Bulls. Discorso a parte merita Zach LaVine, altro ex dei Timberwolves, reduce dalla rottura del legamento crociato del ginocchio dopo un avvio di carriera per certi versi folgorante. Non solo grandi doti atletiche (due volte vincitore della gara delle schiacciate all'All-Star Game), ma anche giocatore di energia, capace di segnare in campo aperto e senza coscienza dall'arco.
Le sue condizioni fisiche restano un punto interrogativo ma, se sano, LaVine rappresenterà quantomeno divertimento garantito per i tifosi di Chicago. Il resto del roster non autorizza a illusioni di sorta: la stagione parte sotto la scritta "lavori in corso" (o tanking, se preferite), con vari giocatori di contorno a fare numero: dall'esperto centro Robin Lopez al rientrante Justin Holiday, dal mai convincente Jerian Grant all'infortunato di lungo corso Quincy Pondexter, passando per la scoperta dei Lakers David Nwaba e per un giovane lungo come Diamond Stone (scelto dai Pelicans con la numero quaranta all'ultimo Draft). Poco, pochissimo, per sperare in una stagione positiva, forse abbastanza per affidarsi al futuro.