A trentanove anni suonati, a un passo dai quaranta, Manu Ginobili continua a far parlare di sè. Del suo eventuale ritiro, certo, ma anche se non soprattutto della prosecuzione della carriera NBA in maglia San Antonio Spurs. A inizio stagione l'argentino da Bahia Blanca aveva assicurato che questa sarebbe stata l'ultima annata da professionista, un ultimo ballo con i neroargento all'ombra dell'Alamo, nonostante l'addio del suo grande compagno d'avventura Tim Duncan.
Eppure, quando mancano ormai tre mesi alla chiusura ufficiale dell'annata sportiva NBA, il futuro di Ginobili non è ancora delineato. Manu ha disputato una regular season al di sopra delle aspettative, mostrando un'integrità fisica insospettabile per un giocatore di quel chilometraggio e, soprattutto, rivelandosi ancora una volta un elemento chiave nel sistema degli Spurs. Al punto che ieri, al termine della partita persa da San Antonio contro i Golden State Warriors, il suo allenatore si è espresso così sull'ipotesi del ritiro dall'attività agonistica: "Dipendesse da me - ha detto coach Gregg Popovich - non dovrebbe mai ritirarsi. Ho intenzione di spremere ogni sua stilla di energia, lo utilizzerò come una saponetta, finchè non sarà rimasto niente per la sua famiglia o per chiunque altro a questo mondo. Lo spremerò fino alla fine". Parole forti, che ribadiscono la stima di Pop nei confronti di un giocatore che ha dato tantissimo alla causa, ma che viene considerato ancora in grado di determinare i destini dei San Antonio Spurs. E, per una volta, sperare di rivedere in campo Manu Ginobili anche nella prossima stagione non è solo un augurio dal retrogusto nostalgico, bensì un'esigenza tecnica ben definita. I minuti dell'argentino, una quindicina di media a partita, continuano ad essere fondamentali per gli Spurs: il modo di incidere sulle partite anche solo con un paio di giocate è rimasto lo stesso di un tempo. Triple, assist da fantascienza, palle rubale, sfondamenti subiti, tutto questo fa di Ginobili un giocatore non duplicabile per i neroargento.
Un elemento imprescindibile in un roster in cui mancano esterni capaci di trattare la palla con la maestria dell'argentino: Danny Green è e rimane un tiratore, Jonathon Simmons un giocatore d'energia, Kyle Anderson una pedina ancora in fase evolutiva. Ecco perchè Manu, insieme all'australiano Patty Mills, è l'unico uomo in grado di cambiare le partite dalla panchina per quanto riguarda il backcourt, offrendo un'alternativa credibile ai giochi chiamati per il fantastico Kawhi Leonard. Come affermato da Jeff Van Gundy durante la sua telecronaca di Spurs-Warriors per Espn, "Parker e Ginobili rimangono giocatori fondamentali, anche se hanno perso la capacità di finire al ferro". Tutto vero, ma con una differenza. Mentre Tony Parker non sembra riuscire a trovare un'alternativa al suo gioco old style, fatto di accelerazioni fulminee e penetrazioni al ferro, Ginobili si è nel tempo costruito un nuovo ruolo, diverso da quello del realizzatore, diventando un passatore fuori dal comune (clamorosa la sua nuova connessione con un altro veterano come Pau Gasol), l'uomo che ha in mano il sistema ogni volta che è in campo. Pochi minuti, ma che si sentono eccome, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche da quello emotivo, offrendo agli Spurs quel senso di imprevedibilità che a volte può mancare in una squadra così ben strutturata. E che Ginobili sia stato e rimanga un giocatore speciale lo ha riconosciuto anche un avversario di oggi, ma compagno di ieri, come Steve Kerr: "Si tratta di un giocatore unico, uno dei più particolari tra quelli che abbiano mai giocato a pallacanestro - le parole dell'allenatore di Golden State - uno dei migliori compagni di squadra che abbia mai avuto. E se oggi, alla sua età, continua a giocare ad alti livelli, è a causa della sua intelligenza e della sua conoscenza del gioco. Vederlo in azione rimane un piacere".