Sabato scorso i Cleveland Cavaliers hanno perso in maniera più che netta allo Staples Center contro i Los Angeles Clippers. Una sconfitta di 30 punti che è arrivata in diretta nazionale, non quindi una gran bella pubblicità per la franchigia dell’Ohio. Ma a tale magra figura c’è una spiegazione abbastanza semplice: Tyronn Lue ha lasciato volontariamente in panchina LeBron James, Kyrie Irving, Kyle Korver ed il rientrante Kevin Love. Nessuno dei quattro ha messo piede sul parquet, rendendo così la vita estremamente facile a Chris Paul e compagni.
Il riposo delle super star di Cleveland ha però alzato un polverone mica male. Nella cultura americana il “nostro” concetto di turnover, di rotazione dei giocatori, non esiste assolutamente e, fin dai primi tentativi di attuazione di Gregg Popovich, la NBA ha provato in tutti i modi a bloccare questo fenomeno. Eppure, è ormai pratica abbastanza diffusa che gli allenatori decidano, soprattutto con l’avvicinarsi dei playoff, di far riposare le proprie stelle.
La cosa, come detto, non piace particolarmente né alla Lega né alla stragrande maggioranza dei giocatori. Giusto per fare un esempio, l’ultimo che si è schierato contro questa situazione è stato Chris Bosh: “Se sei sano, devi giocare. Non esiste il riposo”. È chiaro come il punto di vista dell’ex Heat sia fortemente condizionato dai suoi problemi di salute, ma il concetto è più o meno quello che viene sostenuto da gran parte dei big della Nba. Lo stesso Adam Silver è voluto intervenire mandando un memo a tutte le squadre definendo il fenomeno come un “problema fortemente significativo per la Lega”. Sempre nel memo, Silver ha aggiunto che tale problema, se effettivamente è così giusto definirlo, sarà oggetto di discussione del board della Lega il prossimo 6 aprile. Il commisioner, inoltre, ha anche voluto specificare come siano previste delle multe per le squadre che non comunicheranno tempestivamente alla Lega, agli avversari e ai media la decisione di far riposare le proprie stelle.
Insomma, è evidente come il nostro amato turnover (per i calciofili, chiedere a Sarri cosa ne pensa) per gli americani è un problema bello grosso. Anche perché, a differenza nostra, non tutte le partite NBA vengono mandate in diretta nazionale. Motivo per cui, quando l’ESPN di turno ha scoperto di trasmettere una partita dei Cavs senza i big-three non sarà di certo rimasta entusiasta. Così come d’altronde è accaduto giusto la settimana prima, quando i Golden State Warriors hanno tenuto in panchina Curry, Thompson, Green e Iguodala, oltre ovviamente all’infortunato Durant, per la partita contro gli Spurs. Un match che che in Italia, Sky Sport, detentrice dei diritti, ha deciso di non mandare in onda per scarso appeal.
Il vero pusillis della questione è però che tutte le parti in causa hanno delle buone motivazioni per far prevalere la rispettiva tesi. Gli allenatori, così come i giocatori, non vogliono correre il rischio di logorarsi/infortunarsi in partite di regular season che non hanno ormai più tutta questa importanza; la Lega vuole salvaguardare il proprio prodotto; i media non vogliono pagare per trasmettere partite con le stelle in panchina per 48 minuti. Ecco quindi che si prospetta all’orizzonte una delle discussioni più antiche della Lega: ridurre il fatidico numero di partite della regular season. Riducendone il numero, attualmente fermo ad 82, il fisico dei giocatori si “consumerebbe” di meno e ogni partita acquisirebbe maggiore importanza, cosa che avvantaggerebbe anche i media nazionali (più aspettative per quella singola partita e più spettatori).
Sta di fatto però che la NBA, da questo punto di vista, ha sempre fatto orecchie da mercante. Per quanto infatti Silver sia riuscito ad allungare il calendario e quindi a diluire le partite in più tempo, l’idea di ridurre il numero di match non è in programma. Ma come detto, il 6 aprile ci sarà un board che siamo certi non trascurerà il problema.