A dieci giorni dall'infortunio che lo ha mandato k.o. (lesione di secondo grado al legamento collaterale mediale del ginocchio sinistro), Kevin Durant ha confermato che non ci sono ancora certezze sui suoi tempi di recupero, intervenendo in una conferenza stampa improvvisata alla Oracle Arena prima della gara persa dai suoi Golden State Warriors contro i Boston Celtics. Rimane dunque ancora valida l'indicazione data dalla franchigia californiana, di un mese di tempo per rivalutare lo stato del ginocchio, e dunque capirne di più sulle prospettive di KD per l'inizio dei playoffs.
"Attualmente non penso a quando potrò tornare in campo - le parole di Durant, riportate da Chris Haynes di Espn - anche se so che è esattamente ciò che tutti vorrebbero sapere, ma tornerò solo quando sarò di nuovo pronto per giocare. Mi sento meglio, anche se è trascorsa solo una settimana dall'infortunio. Mi sto prendendo il mio tempo: l'obiettivo è vivere alla giornata e migliorare gradualmente. Ora è questa la sfida: lottare giorno per giorno, lavorare sul resto del mio fisico e sperare che il ginocchio guarisca presto. Sarebbe potuto essere un infortunio peggiore, come già capitato a molti altri giocatori in questa stagione. Invece per fortuna non è niente di preoccupante. Quindi non posso lamentarmi". Infortunio dovuto alla caduta del suo compagno di squadra Zaza Pachulia sul suo ginocchio sinistro nella gara del Verizon Center contro i Washington Wizards: "Mi era già capitato più volte che un compagno o un avversario mi cadesse addosso, ma stavolta ho subito capito che era diverso. Ho provato un dolore mai avvertito prima, ma allo stesso tempo sapevo che avrei dovuto lavorare molto per recuperare, anche se i medici erano cauti e non c'era ancora il responso della risonanza magnetica. Per mezz'ora, dopo un controllo iniziale, abbiamo temuto che potesse essere qualcosa di più grave (si parlava di una frattura alla tibia, ndr), poi i medici mi hanno chiamato e mi sono sentito sollevato. Ora si tratta di combattere per rientrare in campo e recuperare al 100%: mi è già capitato in passato, non sono spaventato. Non voglio indicare date, si tratterà solo di capire come mi sento giorno dopo giorno".
E l'assenza di KD sta pesando enormemente sul rendimento dei Golden State Warriors, che hanno perso tre delle ultime cinque partite disputate: quella di Washington, la trasferta di Chicago e la gara casalinga della notte scorsa contro i Boston Celtics. Un infortunio che rischia di compromettere il primo posto nel ranking della Western Conference (i San Antonio Spurs di Gregg Popovich sono ora a una gara e mezza di distanza, e sabato ci sarà lo scontro diretto all'AT&T Center), e che sta sovraccaricando di lavoro Stephen Curry e Klay Thompson, unici giocatori del roster dei californiani realmente in grado di creare qualcosa dal palleggio. Golden State ha diversi trattatori di palla, da Livingston a Iguodala, passando per Draymond Green, ma il suo attacco è risultato stagnante nell'ultima settimana. A Steve Kerr non sono arrivati riscontri positivi dalle seconde linee (se si eccettua appunto Iguodala): i vari Patrick McCaw, Matt Barnes, Ian Clark e Shaun Livingston non hanno inciso come ci si attendeva, riproponendo così il dibattito sulla profondità della panchina di Golden State. Una discussione che va avanti ormai dalla scorsa estate, quando proprio l'acquisizione del free agent Durant "costrinse" il general manager Bob Myers a stravolgere parte del roster (via Harrison Barnes e Leandro Barbosa, tra gli esterni). Problemi che sono stati messi in evidenza durante la gara persa contro i Celtics di Brad Stevens, abilissimi a limitare Curry e Thompson con le marcature di Smart e Bradley, per scommettere su tutti gli altri, Draymond Green in primis. Per almeno un mese i Warriors dovranno fare a meno di Durant: a Steve Kerr il compito di trovare soluzioni alternative per attutire il peso di un'assenza tanto importante.