Trust the Process, risuona in ogni angolo dell'ambiente che orbita intorno ai Philadelphia 76ers. Lo slogan, reso celebre da Joel Embiid, magistralmente assistito da Sam Hinkie - ex general manager, creatore e promotore di una vera e propria filosofia - rispecchia in toto l'identità della franchigia. Gioventù al potere, tutta da crescere, educare, migliorare. Il giocatore simbolo non può che essere il centro, prodotto di Kansas, detentore del maggior hype mai creato nella Nba negli ultimi anni. Sarebbe però un errore considerare Embiid l'unico rappresentante del suddetto process: le ultime settimane di regular season hanno infatti portato alla ribalta un altro simbolo, Dario Saric.
Il percorso del croato è più o meno noto a tutti: emerso nel Cibona, sdoganato all'Efes, portato definitivamente alla ribalta tra preolimpico (ahinoi) e torneo di Rio. Il percorso tra Torino e le spiagge di Copacabana ha riservato alti e bassi, questi ultimi evidenziati soprattutto all'ombra del Cristo Redentore, dove, oltre ad una stoppata decisiva su Pau Gasol per battere la Spagna nella fase a gironi, Saric ha lasciato poche tracce. Dopo l'eliminazione ai quarti di finale, per mano della Serbia, i commenti sono stati tutt'altro che dolci. Non per i compagni o per la squadra, ma per se stesso.
Dario Saric, after the loss to Serbia, blamed himself:
— CroSports (@CroSports_) 18 agosto 2016
- I don't know what to say. We lost again, and I played like the last pussy.
L'autocritica lascia intendere immediatamente non solo la pasta di cui è fatto, ma anche la testa e la mentalità che gli appartengono. Determinante per battere l'Italia al Pala Alpitour, meno per portare la sua Croazia a una medaglia. Si arriva dunque all'approdo in Nba. Dario è un oggetto interessante, ma misterioso, anche per coach Brett Brown: certo Philadelphia non sembra(va) il luogo ideale per un ragazzo sì di 22 anni, ma totalmente nuovo al mondo NBA. Coach Brown cerca - verbo più che mai appropriato - di ritagliargli un ruolo, utilizzandolo sia in uscita dalla panchina, sia in quintetto, da 3 e da 4, alternativamente.
Le difficoltà iniziali rientrano nella norma, poiché Saric paga lo scotto del Rookie europeo, abituato a un gioco molto diverso. Lo scorrere del tempo finisce però per dargli ragione sotto più punti di vista: si dimostra un difensore esemplare, specialmente per istinti, sui quattro avversari, mentre - per questioni più di stazza e atletismo - fatica a contenere i lunghi avversari più fisici, in post e in area. I piedi veloci gli permettono mobilità, la capacità di lettura fa il resto, e le lacune atletiche vengono colmate dalla determinazione. Emblematiche in questo senso sono le due stoppate in fila contro Toronto.
Offensivamente, il croato sta ancora cercando la propria reale dimensione, la quale sembrava inizialmente dipendere dal tiro dalla media. Nella stagione in corso però la tesi ha parzialmente perso di credibilità, anche se il jumper rimane ancora una lacuna da colmare per renderne ancor maggiore la pericolosità.
Quel che è emerso finora è soprattutto l'ottima capacità di andare a rimbalzo offensivo di Saric, ma l'aspetto che maggiormente colpisce è la capacità di lettura nel flow dell'attacco. Le doti di passatore dimostrate nel corso della stagione hanno permesso a coach Brown di inserire il classe 1994 nelle rotazioni con maggior scioltezza, anche - se non soprattutto - in uscita dalla panchina.
"Dario Saric is never coming over" #TrustTheProcess
— Joel Embiid (@JoelEmbiid) 19 gennaio 2017
Così parlo ai critici Joel Embiid, dopo una prestazione sontuosa di Saric contro Toronto.
Il gioco di Saric si sviluppa maggiormente fronte piuttosto che spalle a canestro - per le questioni atletiche di cui sopra -, il che lo induce spesso a mettere i piedi dietro l'arco per concludere dalla lunga distanza, non proprio la specialità della casa, ma una componente fondamentale del suo gioco al momento, peraltro esponenzialmente migliorata nel corso della carriera. Non deve però ingannare questa sua attitudine al tiro da tre, perché considerarlo uno shooter è estremamente riduttivo. Più corretto è invece pensarlo come un quattro che sa aprire il campo, ma sa anche portare palla e gestirla, con ottima padronanza dei fondamentali del gioco.
Al momento, il prospetto croato è un giocatore da 24 minuti a notte in uscita dalla panchina; questa dimensione dovrebbe accompagnarlo per tutta la stagione da Rookie. Il futuro, invece, sembra radioso. Saric sta ampiamente dimostrando di essere all'altezza della Nba, inoltre i margini di miglioramento sono evidenti: seguendone l'evoluzione, è lecito credere possa diventare una moderna power forward. Ciò che glielo può consentire è la testa, la mentalità. Probabilmente non sarà the next big thing, ma potrebbe affermarsi in un contesto, anche vincente. E, per come si è sviluppato il suo arrivo a Philadelphia, possiamo esser certi che Dario mantiene le promesse.