Come anticipato in preseason dal suo allenatore Steve Kerr, la regular season 2016/2017 di Steph Curry sta diventando molto diversa dalle precedenti. Mentre nel 2014/2015 il prodotto da Davidson stupì l'intero mondo Nba per continuità ai massimi livelli, ricevendo il primo premio di MVP della sua carriera, lo scorso anno i suoi numeri astronomici lo proiettarono nell'empireo dei grandissimi. In un'élite di fuoriclasse, con tutti gli onori e gli oneri che questo comporta. 

Draymond Green e Steph Curry. Sullo sfondo, Steve Kerr. (Nhat V. Meyer/Bay Area News Group)

Vinto ancora (addirittura all'unanimità) il riconoscimento di most valuable player, Steph è andato incontro a dei playoffs complicati, sia per i vari infortuni subiti (il più grave, quello in gara-4 della serie di primo turno contro gli Houston Rockets), sia per l'esito delle Finals, vinte in rimonta dai grandi rivali dei Cleveland Cavaliers. Da giocatore osannato, Curry è dunque finito nel mirino della critica, che anche in questa prima parte di regular season non ha mancato di evidenziare come le sue percentuali al tiro (dal campo e dall'arco) siano tra le peggiori della sua carriera (40% da tre, 47% complessivo). Dati che vengono messi in correlazione con l'arrivo nella Baia di Kevin Durant, free agent ex Oklahoma City Thunder. Già, perchè proprio lo sbarco di KD ai Golden State Warriors sta diventando un fattore mediaticamente difficile da sostenere, con mezzo mondo Nba in attesa di decretare il fallimento dell'operazione. Ed è così che i Warriors, da squadra amata e simpatica anche ai tifosi neutrali, sono diventati "the villains" (i cattivi, per dirla alla Steve Kerr) per eccellenza, con tutto ciò che ne consegue quanto a critiche e atteggiamento della stampa.

Kevin Durant. Noah Graham/NBAE/Getty Images

Di questo ambiente che ormai accompagna ovunque Golden State, ha parlato proprio Curry dopo la vittoria di Sacramento contro i Kings: "Sì, ho sentito spesso usare le parole crisi e anno negativo associate al mio nome - le dichiarazioni di Steph, riportate da Chris Haynes di Espn - ma sono tutti modi per descrivere qualcosa che per me non rappresenta un problema. Naturalmente cerco di mantenermi sempre a livelli di eccellenza, anche se so che i miei numeri non sono quelli dello scorso anno. Però non sono preoccupato, perchè questa è una stagione diversa. Ogni volta che prendo un tiro, sono fiducioso di poterlo segnare, e credo che nel corso della stagione le cose miglioreranno. In questo momento c'è un'enorme attenzione su qualsiasi cosa facciamo, non solo su di me, ma non è un problema, so che fa parte del gioco. Io cerco solo di migliorare anno dopo anno: certo, guardando i numeri, non ci sto riuscendo, ma ci sono tanti altri fattori da considerare. Parlare di crisi o di crollo mi sembra però eccessivo, anzi comico: sarà una stagione lunga, da montagne russe".

Steph Curry durante la partita contro Portland.  Noah Graham/NBAE/Getty Images

In soccorso del suo playmaker giunge anche coach Steve Kerr: "Se c'è qualcuno che pensava che quello che ha fatto Steph lo scorso anno fosse ripetibile, era semplicemente folle. Neanche nel baseball Ted Williams aveva ogni anno una percentuale di ribattuta del 40%, bensì del 35/36%. Le aspettative su Steph sono esorbitanti". Entra più nel dettaglio della questione un grande veterano come Andre Iguodala: "Non so, ma di cosa stiamo parlando? Tutto ciò dipende dal mondo in cui viviamo. Puoi essere la migliore squadra della lega, vincere il maggior numero di partite, ma c'è sempre qualcuno che cerca qualcosa di negativo. E' triste, e sono i media ad aver creato questa situazione. Non credo che sia Steph ad aver alzato l'asticella, è solo una questione di odio. Noi facciamo cose che ad altri non riescono, e quindi altri provano a sminuirci ogni volta". Chiosa finale di Curry, che prova a togliersi le catene di uno che ormai è prigioniero dei suoi numeri: "Non mi interessa ciò che i numeri dicono. Ciò che conta è vincere e fare il proprio lavoro per i compagni di squadra".