Che fine hanno fatto i Los Angeles Lakers?
Un avvio di stagione sorprendente. Quasi strabiliante. Il mondo della NBA scosso grazie ad una vittoria casalinga sui Golden State Warriors, freschi reduci dalle Finals NBA con l'aggiunta di Kevin Durant, con pienissimi meriti. E poi? Il buio. La squadra di Luke Walton continua a faticare, nonostante qualche rarissimo acuto. Il periodo di magra non sembra avere fine e, dando uno sguardo al ranking, nonostante un ritardo colmabile dall'ottava piazza, strani pensieri aleggiano attorno allo Staples Center. Una squadra troppo brutta per essere vera, che mette a referto la miseria di ottantanove punti nella notte contro i Dallas Mavericks. Una squadra che, dopo essere stata a lungo il secondo miglior attacco della Lega, è letteralmente implosa su se stessa.
Motivi? Difficile, ad oggi, da spiegare, con qualche problema legato alla tattica, agli uomini, agli schemi. Nulla, al di là dell'atteggiamento in campo, dell'intensità che i gialloviola mettono sul parquet, della voglia di vincere, sembra essere cambiato. Ed allora, cosa succede? "A pensar male si fa peccato, certo, ma a volte si indovina". E se perdessero appositamente? Brutto, infimo, quanto di più sportivamente lontano dal pensiero di un giocatore, di una squadra. Tuttavia, la pratica del tanking andata avanti in questi anni ci ha aperto ad una nuova tipologia di mentalità: quella del perdere volontariamente per garantirsi una scelta altissima al successivo Draft estivo.
Ad avvalorare, quantomeno ipoteticamente per il momento, questa tesi, qualche piccolo indizio, mandato dalla squadra losangelena in queste ultime gare. Per tankare non è mai troppo presto, soprattutto perché nella seconda metà di classifica della Western Conference ci sono otto squadre separate da sole quattro vittorie. Andando a scovare nelle future possibilità dei Lakers a Luglio, si scopre che Kupchak e soci avranno la possibilità di giocarsi una delle prime tre scelte assolute qualora in classifica non ci siano tre franchigie con un record peggiore: un motivo sicuramente valido - a posteriori - per giustificare oggettivamente la scelta. Tanti i pro ed i contro di questa decisione, qualora fosse davvero quella intrapresa in queste gare dai Lakers: il vantaggio, quello di avere un'altra presa alta, sarebbe quello di poter gestire a proprio piacimento il roster con scambi volti a migliorare l'ossatura, la qualità e lo spessore di personalità nell'immediato della squadra, cosa che quest'anno, soprattutto nei momenti difficili, è finora mancata. Gli scambi per arrivare ad un top player non sono un'eventualità da scartare e, all'indomani dell'aver riconosciuto che oltre l'ottava piazza non si poteva arrivare, i Lakers avrebbero potuto mettere sul piatto della bilancia le due cose traendo le proprie conclusioni. Il discorso, quello dell'uovo oggi o della gallina domani, torna sempre d'attualità.
La sentenza, ad oggi, è impossibile da emettere. Troppo difficile immaginare quanto un Lonzo Ball (o chi per lui) possa fare la differenza, così come altrettanto oscura è la via che porterebbe ad un giocatore già pronto e fatto (Cousins? Durant? Lo stesso James se dovesse vincere con i Cavaliers?). Ipotesi. Fantasie. Il dato di fatto oggettivo è quello che, alle spalle di questo periodo negativo dei Lakers di oggi, c'è un atteggiamento blando, fin troppo, che caratterizza parte dei secondi tempi della squadra di Walton. Nella notte, dopo un primo tempo di sostanziale equilibrio, è stata netta l'inversione di tendenza, nel linguaggio del corpo, dei giovani gialloviola. Futili le reprimende dell'ex vice coach dei Warriors, che continua a riempirsi di belle parole "è il nostro solito problema, quello dell'attegiamento, del voler vincere, di orgoglio", ma che pian piano si sta adagiando ad un modus vivendi - perché no - Hollywoodiano.
Difficile da mandar giù un altro boccone amarissimo dopo la peggior stagione della storia della franchigia. Difficile soprattutto mettere altra negatività sulle spalle di un gruppo giovanissimo, che ha un futuro più che roseo davanti. Altresì, il tanking potrebbe rappresentare anche un modo per mascherare i limiti strutturali e fisiologici di una squadra che forse quei limiti non è pronta a superare. Perdere aiuta a perdere. Farlo di proposito non è la soluzione ai mali, soprattutto per tifosi, appassionati e sportivi, anche se nella NBA del nuovo millennio potrebbe esserlo.