Dove eravamo rimasti? Alla stoppata di LeBron James su Andre Iguodala in gara-7 delle Nba Finals del 2016, all'attacco inceppato degli uomini di Kerr negli ultimi cinque minuti della sfida della Oracle Arena, alla tripla di Kyrie Irving che mandava in paradiso un'intera comunità, per il primo Larry O'Brien Trophy della storia della franchigia. Basterebbero gli ultimi frames di quella gara-7 per considerare imperdibile la partita natalizia tra Cleveland Cavaliers e Golden State Warriors (ore 20.30 italiane, diretta Sky Sport e Cielo). Se non fosse che ormai si tratta di un classico, dell'ennesimo capitolo di una rivalità accesissima, che va oltre i singoli giocatori, e che coinvolge milioni di tifosi in tutto il mondo.
Da una parte i fedelissimi di LeBron James, il Prescelto capace di rimontare con la squadra della sua città (Akron è un sobborgo di Cleveland), una serie che lo vedeva sotto 3-1 (prima volta nella storia delle Finali Nba). Dall'altra gli ammiratori del gioco di Golden State, delle triple (ma non solo) di Stephen Curry e Klay Thompson, del pallone sempre in movimento, dei tagli a canestro, di una pallacanestro assistita come poche altre nella storia del gioco. Due modi di giocare molto diversi tra loro, soprattutto per il personale a disposizione dei rispettivi staff tecnici, un titolo a testa, e forse un'altra serie di tarda primavera pronta a palesarsi all'orizzonte. Questo e altro è Cleveland contro Golden State, sfida resa ancor più affascinante dalla clamorosa quantità di talento presente sul parquet. Kyrie Irving, Kevin Love, LeBron James contro Stephen Curry, Klay Thompson, Kevin Durant (e Draymond Green, troppo spesso sottovalutato per i californiani, esattamente come Tristan Thompson per i Cavaliers). Tutti fenomeni che si ritrovano per il secondo anno consecutivo protagonisti del piatto forte che l'Nba offre al suo pubblico a Natale: nella scorsa edizione del Christmas Day vinsero i Warriors alla Oracle Arena, in una partita dura, intensa, ma poco spettacolare. Oggi si torna invece at The Q, la Quicken Loans Arena di Cleveland, dove a inizio 2016 si segnò il destino di David Blatt (Cavs travolti dai Warriors e cambio della guardia con Tyronn Lue effettuato solo pochi giorni dopo).
Lo stesso parquet su cui Draymond Green colpì (secondo alcuni in maniera proditoria, secondo altri no) LeBron James in gara-4 delle Finals, facendosi poi squalificare dall'Nba per una partita. Episodio chiave dell'ultima serie, che nessuno tra i protagonisti ha realmente mai dimenticato, e che fa sì che la contesa di stasera non possa essere solo una delle ottantadue partite di regular season. Si riparte anche e soprattutto da lì, oltre che dal confronto tra i due allenatori. Steve Kerr e Tyronn Lue, due personalità diverse, che offrono al pubblico un gioco praticamente agli antipodi. Cleveland si affida in attacco a LeBron James, vero padrone della squadra, aprendogli il campo con una batteria di tiratori niente male (anche se stanotte mancherà J.R. Smith, assente anche per i prossimi tre mesi). E' LBJ il playmaker - neanche tanto ombra - della squadra, l'uomo che detta i ritmi - in alcune occasioni lenti, in altre velocissimi - di Cleveland, mentre Irving è ormai perfettamente calato nella parte di realizzatore seriale e di closer di lusso. Kevin Love è - offensivamente - il primo ad aprire le danze, cercatissimo a inizio partita per fargli trovare fiducia (36 punti nei primi dodici minuti della sfida contro Portland), Tristan Thompson fa invece il portatore d'acqua di forza e di posizione, mentre il quintetto dovrebbe essere completato da DeAndre Liggins, sorprendente ventiseienne che prenderà il posto di Smith, salvo lasciarlo a partita in corso a Iman Shumpert. Dalla panchina ecco Channing Frye (altro tiratore esiziale per le difese avversarie) e Richard Jefferson, veterano importante soprattutto quando si tratta di varare il quintetto piccolo.
Dall'altra parte, l'inserimento di Kevin Durant (principale novità della gara di stasera) è avvenuto in maniera quasi naturale, consentendo a Steve Kerr di avere un'opzione in più nel suo già sfavillante attacco. I Warriors di quest'anno dipendono meno dalle giocate da fenomeno di Stephen Curry, che sta mostrando una maturità insospettabile nel limitarsi a fare il facilitatore per il nuovo arrivato KD e per l'elegantissimo gemello Klay Thompson. Un Curry meno protagonista con le sue raffiche di tiri da tre punti, più sotto controllo, forse anche deresponsabilizzato, più attento e coinvolto in difesa, lontano dai numeri astronomici che lo hanno fatto diventare per due volte MVP della regular season. Molto dell'attacco di Golden State dipende però dall'energia e dalla vena di Draymond Green, uomo barometro dei californiani, per temperamento e doti di passatore. Spesso battezzato al tiro, è Green il giocatore che consente a Kerr di varare una pallacanestro assistita, in cui il pallone gira vorticosamente, fino a trovare la soluzione migliore, che sia una tripla, un taglio a canestro o una schiacciata. In tema di schiacciate, ecco JaVale McGee, lungo in grado di dare verticalità in un reparto che ha perso Bogut ed Ezeli e ha in Zaza Pachulia un centro atipico, più tecnico che fisico. Il resto lo fa la panchina, meno ricca di quello dello scorso anno (via diversi giocatori importanti per fare spazio a Durant), da cui esce l'immarcescibile ed eccezionale difensore Andre Iguodala, con Shaun Livingston e Ian Clark a comporre il secondo quintetto (meno spazio per David West e per i giovani Kevon Looney e Patrick McCaw). I Cavs accetteranno ogni cambio difensivo possibile contro l'attacco di Golden State, che dovrà essere brava a muovere la palla senza incappare in una serata di tensione, mentre i padroni di casa confideranno nell'appoggio di un pubblico caldissimo per fare propria la sfida di Natale: non una partita di regular season, ma la gara più importante dei primi due mesi stagionali, quella in cui regolare qualche conto in sospeso e magari lanciare un segnale agli avversari.