Dove eravamo rimasti? Ah, si: fine gennaio, Colorado Springs, i 30 preconvocati per le Olimpiadi di Rio:
Da allora di acqua sotto i ponti ne è scorsa. Non foss'altro perché Coach K si è trovato a dover fare i conti con infortuni (Griffin, Davis), rifiuti sdegnosi (Lillard, comprensibilmente stufo di fare il ripiego degli altri, e Wall), altri inspiegabili (Hayward), altri legati alle fatiche di una stagione logorante da 100 e più partite (James, Curry, Iguodala). Alla fine, quindi, la scelta dei magnifici (?) 12 è stata quasi obbligata: saranno Kyrie Irving, Kyle Lowry, Jimmy Butler, DeMar DeRozan, Klay Thompson, Carmelo Anthony, Harrison Barnes, Kevin Durant, Paul George, Draymond Green, DeMarcus Cousins e DeAndre Jordan a cercare la terza medaglia d'oro olimpica consecutiva di Team Usa.
Come dite? Manca il 'Dream' d'ordinanza? Beh, mettiamola così: non siamo certo ai livelli del disastroso 'Nigthmare Team' di Atene 2004 ma nemmeno a quelli del 'Redeem Team' del 2008 e/o del 2012. Chiariamoci: a meno di cataclismi di cui non si avvertono presagi (leggasi miracolo, sportivo e non, della Spagna), anche a questo giro il primo posto sembra blindato. Eppure la sensazione è quella del "si poteva far meglio", con buona pace dell'aura di invincibilità che spesso ha accompagnato gli emissari della pallacanestro a stelle e strisce in giro per il globo.
Senza contare le (lievi) perplessità anche dal punto di vista tecnico e della completezza del roster. In particolare per quel che riguarda il back-court: Coach K ha optato per due sole PG di ruolo, di cui l'ultimo (Irving) ha dato la propria disponibilità soltanto nelle ultime ore. Tuttavia tanto lui che Lowry sembrano rientrare più nella categoria delle combo guards piuttosto che in quella dei playmaker in senso stretto: in altre parole, manca chi sappia gestire i possessi propri e altrui, qualità di cui, nelle precedenti edizioni, erano titolari Jason Kidd, Deron Williams e Chris Paul. Dettaglio non da poco e che potrebbe fare tutta la differenza del mondo nelle partite in cui gli Stati uniti si troveranno costretti a giocare per davvero (la solita Spagna, ma anche l'Argentina del caso). Inspiegabile, in tal senso, la rinuncia a Mike Conley, nome meno di richiamo degli altri due, ma che si sarebbe rivelato più adatto in certe situazioni. Soprattutto alla luce di un reparto di SG e FW assortito in maniera strana: un solo tiratore in uscita dai blocchi (Thompson), un altro che, al piazzato dalla media, preferisce l'attacco al ferro dalla linea di fondo sfruttando il taglio in backdoor alle spalle del lungo di riferimento (DeRozan), due tiratori dal palleggio con caratteristiche tecniche e atletiche simili (Paul George e Jimmy Butler) e, on top, Melo e KD. Talento in abbondanza, capacità di gestirlo da decifrare. Molto meglio, invece, il reparto lunghi. Draymond Green potrebbe rivelarsi un enigma difficilmente interpretabile per i sistemi difensivi europei, DeAndre Jordan assicura una solida e ragguardevole difesa di ferro e pitturato, mentre DMC dovrebbe continuare senza problemi sulla falsariga della dominanza espressa agli ultimi mondiali spagnoli.
Si è trattato, come avete potuto notare, della ricerca del classico 'pelo nell'uovo'. Perché è ovvio che, anche in questa versione 'rimaneggiata' (ed è un bel rimaneggiare), gli americani hanno tutto per poter continuare a dominare il mondo cestistico. Anche se, magari, molto meno facilmente di altre volte.