Di norma evito di commentare ex post episodi come quello che ha visto coinvolti Draymond Green e LeBron James. Soprattutto perché, nella maggioranza dei casi, alle spalle c'è una Lega che dal punto di vista dei provvedimenti disciplinari ha dimostrato di rifuggere quanto più possibile quel doppiopesismo che tanto ci è familiare. Questo al netto delle prevedibili rimostranze dei tifosi di questa o quella squadra che, dopo questa affermazione, non mancheranno di far notare che nell'occasione X il giocatore Y sia stato punito in maniera più esemplare rispetto al suo omologo Z.

Discorsi che lasciano il tempo che trovano. Così come le frecciate, le battutine, le dichiarazioni a mezzo stampa e social di interessati più o meno diretti alla questione. Si guardasse ai fatti, invece che concentrarsi sulle reazioni (giuste o sbagliate che siano) o sul giochino "chi ha fatto prima cosam chi è il buono chi il cattivo", non si sbaglierebbe mai. E i fatti dicono che, nella circostanza, oltre a James e Green c'è un terzo soggetto ad aver agito in concorso di colpa. Ed è la Nba stessa, in ossequio alla classica eccezione che conferma l'ancor più classica regola.

Riavvolgiamo per un momento il nastro. tutto origina da questa cosa qui:

Non proprio lo spettacolo più edificante del mondo, d'accordo. Ma è pur sempre playoff basketball, ci si sta giocando una stagione in una manciata di possessi e ci sta che l'adrenalina in circolo favorisca lo spegnimento random del cervello. Anche in atleti (ma, soprattutto, uomini: dettaglio che non andrebbe mai dimenticato) abituati a gestire pressioni psicologiche inimmaginabili. Tanto più che, qualche minuto dopo, a buoi abbondantemente scappati dalla stalla, ancora LeBron dimostra che proprio tranquillissimo non doveva essere:

Finisce, comunque, con la vittoria dei Warriors e con il 23 dei Cavs che, qualche ora dopo, eccepisce circa il livello di trash talking del 23 dei Warriors: "Draymond ha detto qualcosa su cui non sono d'accordo. Per me va bene la competizione ma alcune parole hanno passato il limite. E dato che sono una persona orgogliosa, con una famiglia e tre bambini, la situazione è andata oltre i limiti". Per tutta risposta, Green ha accusato James di avergli mancato di rispetto, con quello step out nell'azione incriminata, in cui malizia, provocazione e frustrazione avrebbero trovato il loro naturale sfogo.

E la Lega? Stranamente (e colpevolmente) silente nelle ore successive al fatto, (ri)emerge nella mattinata di domenica, comminando la squalifica per una partita al prodotto di Michigan State. Formalmente per l'upgrade a flagrant dell'azione incriminata, sostanzialmente (seguendo il filone del malignare dei più) riscuotendo un poco invidiabile credito per tutta una serie di comportamenti borderline messi in atto dall'inizio dei playoff (ogni riferimento a Steven Adams è voluto). Due le domande che, presumibilmente, non avranno mai risposta:

- Con la serie sul 2-2 la squalifica sarebbe arrivata ugualmente?

- Se il motivo della squalifica è l'upgrade del fallo, non potevano pensarci gli arbitri immediatamente, anziché la Nba ex post?

Ma, come detto, non aspettatevi ricostruzioni machiavelliche della cosa o una levata di scudi per l'uno o per l'altro. Qui siamo di fronte al più classico dei "perono tutti": LeBron per un principio di rosicata latente che un campione come lui dovrebbe sempre evitare per non dare altri argomenti a supporto delle tesi dei suoi tanti detrattori; Green per aver cercato di far passare il tutto come una discriminazione razziale nei suoi confronti (in un contesto a larga maggioranza nera?), con tanto di pantomima di maglietta del Martin Luther King Day sfoggiata all'ultimo allenamento; l'Nba per aver voluto mettere una tardiva pezza sulla questione, con l'unico risultato di favorire polemiche tanto strumentali quanto inutili (perché se veramente si crede che Adam Silver abbia agito su mandato di LBJ allora tanto vale dedicarsi ad altro); gli appassionati in ogni ancolo del mondo, che adesso si ritrovano alle prese con una gara 5 caricata ulteriormente di tensione a tutto svantaggio dello spettacolo.

Ed è questo il dato che dovrebbe far maggiormente riflettere nelle segrete stanze dell'Olympic Tower. Dove, abituati da sempre a sapere tutto prima e ad agire saggiamente di conseguenza, per una volta hanno optato per un cerchiobottismo che ha prodotto più danni di quelli che voleva evitare.