La gara che tutti attendevano è arrivata. Dopo tre sfide caratterizzate da ampi margini di vittoria, le Nba Finals 2016 hanno proposto agli appassionati uno spettacolo finalmente equilibrato, in un quarto episodio della serie tra Cleveland Cavaliers e Golden State Warriors a lungo punto a punto, prima di essere deciso nel periodo conclusivo dalla maggiore freschezza degli ospiti, che tornano ora ad Oakland sul 3-1, con l'occasione di chiudere i conti già lunedì notte alla Oracle Arena. 

Specchio fedele dei sistemi di gioco delle due squadre, il match disputatosi at The Q ha confermato quanto sia più lungo e profondo il roster dei Warriors, che hanno messo in campo a rotazione i vari Anderson Varejao, Festus Ezeli e James Michael McAdoo, con il solo Speights tra i lunghi lasciato in panchina per tutta la partita (eccezion fatta per sei secondi di gioco). Ed è stata proprio la maggiore freschezza atletica dei campioni in carica a fare la differenza nel quarto: mentre LeBron James, tenuto in campo per quasi 46 minuti, annaspava in mezzo alla fatica, Draymond Green e Andre Iguodala costruivano la vittoria di Golden State, sancita in attacco dagli Splash Brothers, a lungo evocati e alla fine presenti in un momento cruciale della serie. Tyronn Lue si è affidato al quintetto piccolo, quello che la sorte gli aveva consegnato dopo il trauma craunico subito da Kevin Love, ha visto i suoi reggere per tre quarti abbondanti grazie a uno strepitoso Kyrie Irving e a un indemoniato Tristan Thompson, prima di cedere alla distanza a questi Warriors che giocano con le marce e ti fanno girare la testa. Tutti coinvolti, da Harrison Barnes a Shaun Livingston, in un movimento vorticoso non solo di pallone ma anche di giocatori entrati e usciti dalla panchina. I Cavs ne sono usciti storditi, incappando in errori antichi e sbandando vistosamente nel finale di fronte alla giostra avversaria. LeBron ha chiuso con una quasi tripla doppia (25 assist, 13 rimbalzi, 9 assist, ma anche con sette palle perse), ha messo in ritmo i compagni prima di essere costretto a salire al proscenio, quando però le energie sono venute meno e i suoi isolamenti, da stanziali sono divenuti letali per la sua squadra.

Resta l'impressione nitidissima di un gruppo - quello di Cleveland - che nei momenti cruciali guarda sempre e solo a LeBron, sperando che sia lui a togliere i compagni dagli impicci. Non può bastare, non a questo livello e non con un James segnato dalla fatica di dover stare in campo per 46 minuti su 48. I Cavs hanno perso di una decina di punti, ma lo scarto sarebbe potuto essere più ampio se i Warriors avessero approfittato delle enormi difficoltà degli avversari nell'ultima metà del quarto quarto. Contati in piedi, i padroni di casa hanno retto fin quando hanno potuto di fronte a Steph Curry, non a caso MVP della regular season e vero killer della partita più importante della serie (almeno fino a questo momento). Il resto lo hanno fatto i soliti noti, da Draymond Green (male al tiro, ma uomo ovunque), ad Andre Iguodala (lucido come nessun altro sui due lati del campo), passando per Harrison Barnes (in crescita esponenziale) e Klay Thompson, sempre troppo sottovalutato come difensore. Dall'altra parte il supporting cast ha steccato clamorosamente: J.R. Smith ha perso ritmo con il trascorrere dei minuti, Iman Shumpert non ha mai capito dove mettersi in campo, Channing Frye ha pagato i pochi minuti di utilizzo, Richard Jefferson ha fatto valere l'età e poco altro. La desuetudine a giocare con continuità partite di questo livello (causa mancanza di competitività a Est) ha reso ancora più evidenti i limiti dei Cavs, che intanto possono però rilucidare il talento folgorante di Kyrie Irving, mancato nel finale dopo tre quarti di basket extralusso. Le Nba Finals non sono ancora finite, ma i Golden State Warriors hanno dimostrato di essere nettamente la squadra più forte (per roster e sistema di gioco) di questa serie, costringendo un po' tutti a rivalutare i bistrattati Oklahoma City Thunder, beffati in rimonta sul più bello dall'orgoglio dei campioni in carica.