A 18 anni era considerato il doppelganger di Magic Johnson e Penny Hardaway, a 21 era su un lettino d'ospedale ad aspettare un medico che gli dicesse se avrebbe potuto camminare ancora. In mezzo tre anni di apprendistato ai Clippers e giocate che si lasciavano guardare ben volentieri, fino a quel 26 febbraio 2007, quando, atterrando dopo un layup sbagliato, il ginocchio sinistro fa crack: gamba e sogni distrutti, lacrime dopo che il dottore che lo stava visitando lo informa che c'è il rischio che l'arto debba essere amputato.
A quel punto Shaun Livingston si rifugia nella fede e ricomincia il suo percorso verso la grandezza sportiva, il sogno della sua vita: "Credo davvero che tutto succeda per una ragione. La prima cosa è stata accettare quello che mi era successo. Serve tanta fede per fare quello che ho fatto io. La lunga riabilitazione mi ha permesso di capire come dovevo trasformare il mio gioco. Quello che ero stato non esisteva più, mi sentivo quasi in pensione. Avevo perso il mio atletismo, avevo perso quasi tutto quello che avevo. L'ho ritrovato passo dopo passo, sorprendendomi ogni volta di quello che riuscivo a fare".
La riabilitazione da i suoi frutti e Shaun torna a calcare i parquet più importanti del mondo, ma la sua carriera è come arenata. Dopo una girandola di squadre, Cleveland, la sua futura avversaria nelle Finals 2015 e 2016, gli da fiducia, dando nuova linfa al suo sogno di essere decisivo in NBA: "Nell'estate 2012, dopo che continuavo a rimbalzare da una squadra all'altra, mi sono allenato come non mai. Ho chiuso la stagione successiva a Cleveland. E ho cominciato a sentirmi bene come non mi capitava da un pezzo. Ho passato l'estate 2013 a lavorare ancora duramente, sono finito a Brooklyn dove credo di aver avuto l'anno migliore della mia carriera. In quelle due stagioni mi sono sentito di nuovo esplosivo, mi riuscivano giocate che non facevo da un pezzo. Ma non era solo quello: era la continuità, la fiducia in me stesso, il riuscire a giocare 40 minuti in una partita ed essere di nuovo in campo il giorno dopo. E' stata un'enorme iniezione di fiducia".
Dopo Brooklyn arriva l'occasione della vita, quella di andare in una squadra che punta dichiaratamente al titolo, i Golden State Warriors. Nella baia si trova a fare la riserva di uno dei giocatori più devastanti della storia, Stephen Curry, ma questo non lo butta giù, anzi, gli da la spinta per farlo diventare uno degli uomini chiave del team, portando canestri e grande sapienza in regia dalla panchina, la stessa che con i 45 punti di Gara-1 delle Finals che si stanno svolgendo in questi giorni è risultata decisiva nella vittoria contro LeBron e compagni. Livingston, dopo aver vinto l'anello tanto desiderato, resta a Golden State e si impone ancora una volta come un uomo fondamentale per la squadra di Steve Kerr nell'anno in cui questa batte il record di vittorie dei Bulls di Michael Jordan. Poi nel primo atto delle Finals 2016, proprio nel match in cui Curry gioca da "essere umano", Shaun mostra al mondo le sue qualità, segnando 20 punti con l'80% dal campo e regalando il successo ai suoi, provando che i tempi duri sono ormai alle spalle: "Ora finalmente mi fido del mio gioco e del mio corpo. E c'è voluto tanto perché succedesse. Sono sempre stato un buon tiratore dalla media distanza, cerco di sfruttare quello e la mia altezza. Un anno fa, alle mie prime Finals, ho pensato molto a tutto quello che mi era capitato. Adesso cerco solo di concentrarmi sulle partite".
Ora Shaun Livingston è un giocatore maturo, conscio del suo ruolo all'interno di una delle squadre più forti di sempre, e sa che in ogni gara lui e gli altri 'bench players' dovranno giocare alla perfezione per battere questi Cavaliers. La fiducia non manca, "crediamo in noi stessi, nel fatto che ognuno può essere determinante", il carattere nemmeno. James e Cleveland sono avvisati, i Warriors non intendono fare sconti nemmeno in Gara-2.