Come neve al sole. Gli Houston Rockets confermano i mali di inizio stagione, sciogliendosi come una palla di neve davanti al primo sole dell'anno. Anno nuovo, o quasi (perché negli Stati Uniti nell'atto del match era ancora in corso il 2015), problemi difensivi, offensivi e di alchimia della squadra sempre vecchi: il malcontento dello spogliatoio, tangibile in campo, del roster di Bickerstaff continua a condizionare negativamente i risultati della squadra texana. "Abbiamo un problema", magari. I problemi, che diventano tarli che hanno fatto malissimo prima a coach McHale, ora al malcapitato Bickerstaff, sono sempre gli stessi e scaturiscono tutti dalla mancanza di spirito di squadra, di voglia, di orgoglio che Harden e compagni (non) mettono sul parquet di gioco. 

Nasce tutto da questo aspetto, innescando una reazione a catena che influisce e non poco sull'alchimia di una squadra che in attacco continua a vivere della clamorosa individualità di Harden, delle fiammate (sporadiche) di Beverley e dello sterile strapotere fisico di un Dwight Howard impegnato maggiormente a sorridere in favore di telecamera, per il pubbblico e per gli sponsor, che a concentrarsi sul parquet di gioco.

Difensivamente, il discorso non dovrebbe nemmeno essere impostato: non c'è una minima idea di cosa possa essere un sistema difensivo, che si affida esclusivamente alla speranza di un errore avversario ed alla cattura del rimbalzo per volontà divina. Non a caso, i Rockets, sono la peggior difesa della intera NBA (senza considerare i derelitti Sixers): inesistenti gli scivolamenti difensivi, per non parlare degli aiuti e delle rotazioni, specchio di una squadra che dovrebbe aiutarsi giocando l'un per l'altro, ma che invece si sgretola in certezze mai esistite (McHale o chiunque sieda sulla panchina dei Rockets). 

Mancano le basi, manca lo spirito di un gruppo che si trascina stancamente verso il nuovo anno che, con ogni probabilità, porterà ad un pessimo risultato sportivo, che sarà la fisiologica conseguenza di una mancanza di leadership, emotiva quanto tecnica (perché Harden gioca per sè, quasi mai per i compagni, senza possedere i caratteri del leader spirituale che trascina il resto del team). 

La differenza, sostanziale, risiede inoltre nel sistema di gioco (inteso come complessivo, sia offensivo che difensivo), che mette di fronte ai Rockets, nella gara di fine anno, la bestia nera del 2015: dopo l'eliminazione, oramai più che meritata della passata stagione nei playoff, sono arrivate solo sconfitte in questo scorcio di stagione contro Curry e compagni. Non basta, inevitabile quanto inesorabile l'epilogo, naturale conclusione di quello che oggi rappresentano le due squadre: ieri sera anche l'assenza del più famoso degli Splash Brothers (oltre che di Barnes, Ezeli e Barbosa) non è servita ai padroni di casa per confezionare la vittoria. Nel momento migliore, quando il Toyota Center era definitivamente entrato in partita e sembrava poter spingere i propri beniamini verso la rimonta ed il sorpasso, c'è stato il crollo emotivo: parziale per Iguodala e compagni, senza Thompson in campo (miglior marcatore di serata), fino al crollo per KO tecnico.

Da dove ripartire? Probabilmente da zero, forse da Harden, sicuramente dalla cessione di alcuni pesi fin troppo ingombranti sia nell'ottica del salary cup che dello spogliatoio stesso (a partire anche da questi due mesi che mancano allo scadere della trade deadline). Rifondare estirpando le erbacce, puntanto tutto su giocatori con spirito di sacrificio piuttosto che su vecchie glorie che giungono in Texas soltanto per dovere di firma.