I Kentucky Wildcats sono reduci da due Final Four NCAA negli ultimi due anni. Se nel 2014 la squadra guidata da coach Calipari si era arresa solo in finale ai Connecticut Huskies di coach Kevin Ollie e dell’attuale play degli Heat, Napier, nel 2015 sono usciti in semifinale, da favoriti e fino a quel momento imbattuti, contro i futuri runner up, i Wisconsin Badgers di Kaminski e Dekker. La sconfitta, inopinata, ha generato una delusione enorme fra i tifosi dei Wildcats, ma anche e soprattutto fra coloro i quali avevano deciso che il torneo NCAA 2015 avrebbe costituito l’ultima chance di vittoria di un titolo collegiale. In una conferenza stampa show alla fine del torneo, ben sette giocatori che formavano il nucleo di una delle squadre universitarie più forti di sempre, annunciavano di voler chiudere anzitempo la propria carriera collegiale, diventando professionisti e rendendosi eleggibili per il prossimo draft. Fra questi, il freshman dominicano Karl Anthony Towns Jr; il centro Willie Cauley Stein, al terzo anno; Trey Lyles, ala freshman; Devin Booker, guardia freshman; Dakari Johnson, centro al secondo anno con i Wildcats; e i due gemelli Harrison, i sophomore Andrew e Aaron.
Karl Anthony Towns Jr.
Nativo del New Jersey, ala/centro di origine dominicana, è di gran lunga il giocatore con le maggiori chance di finire fra le prime tre chiamate al draft. Volendo azzardare un pronostico, potremmo tranquillamente dire che, alla numero uno assoluta, il commissioner Adam Silver farà il suo nome in qualità di nuovo giocatore dei Minnestota Timberwolves. Diciamolo subito: Towns non è il giocatore attualmente più forte presente al draft. Jahlil Okafor, come ha dimostrato vincendo il titolo collegiale con Duke, è il più NBA ready della compagnia. La scelta alla numero uno di Towns sarebbe basata su un qualcosa di intangibile, che gli americani amano definire “potential”. Towns è un all star in fieri. Un giocatore che sotto canestro può fare la differenza sia in attacco che in difesa (in questo, a dirla tutta, è già superiore a Okafor). Ha la stazza, la tecnica e la cattiveria agonistica per essere un atleta da 20 e 10 di media nella NBA. La scelta dei Timberwolves potrebbe essere influenzata più da Kevin Garnett, che lo vede come suo erede dal punto di vista tecnico, che non da coach Flip Saunders, il quale aveva dichiarato in un’intervista di preferire Jahlil Okafor. Il fatto che Towns non abbia neppure effettuato un workout per i Lakers (titolari della seconda scelta assoluta), la dice lunga sulla sua sicurezza di finire alla numero uno del draft. Se qualcosa dovesse frapporsi fra Towns e la prima chiamata assoluta, sarà basato su informazioni delle quali i media attualmente non dispongono (cartella medica, possibile trade).
Willie Cauley-Stein.
Dopo tre stagioni in crescendo a presidiare il pitturato dei Wildcats, Cauley-Stein ha deciso che era arrivato il momento di smettere di inseguire il titolo NCAA, e concentrarsi sulla sua carriera da pro. Punto primo: è il miglior difensore pound per pound di questo draft. Un sette piedi costruito alla Tyson Chandler (è solo un po’ più basso) ma con la mobilità laterale di un’ala piccola. Non è la stoppata il suo colpo migliore in difesa. Cauley-Stein si distingue come difensore sulla palla, e risulta difficilissimo da superare in uno contro uno. In attacco, a dire il vero, è ancora tutto da inventare. Potrebbe tornare molto utile a una franchigia con disperato bisogno di un giocatore pronto per la Lega e in grado di fare la differenza in termini di punti concessi agli avversari. Non è un mistero che Phil Jackson abbia intravisto in lui il giocatore perfetto per poter contribuire alla rinascita dei suoi Knicks. Il problema con la franchigia newyorchese è che qualunque giocatore da lottery sarebbe in grado di aumentare il livello di una squadra che, al momento, si presenta come la più scarsa della NBA. Restano quindi da capire le strategie dei Knicks, che dovrebbero passare prima di tutto per un’aggressiva politica sul mercato dei free agent, e poi sullo sviluppo dei giocatori acquisiti al draft. Cauley-Stein sarà senza dubbio un giocatore da lottery, molto probabilmente finirà fra la quarta e la decima chiamata. Vale la pena notare che, al di sotto delle prime tre scelte, lo stock dei giocatori da lottery è in continua fluttuazione. I Knicks potrebbero però cercare acquirenti per la loro scelta numero quattro, oppure optare per un trade down laddove fossero convinti di poter trovare Cauley-Stein anche tre-quattro scelte più in basso. Personalmente, dovessi individuare un match up tra una franchigia NBA e il buon Willie, sceglierei gli Orlando Magic: chi più di loro necessita di un contributo difensivo immediato in una frontline giovane e tecnicamente capace di fare canestro, ma difensivamente parecchio sotto la media?
Trey Lyles.
Ala grande? Ala piccola? Difficile dire quale sarà il futuro NBA dell’ennesimo one and done sfornato dalla scuderia di Calipari. Lyles ha il talento per poter essere scelto nella lottery. È esattamente l’opposto, oserei dire il complemento di Cauley Stein. Tutto ciò che non è Lyles in difesa, lo è Cauley Stein, e viceversa in attacco. Lyles garantisce un mismatch praticamente in tutte le aree della frontline avversaria: può attaccare i lunghi dal palleggio, mettendo palla per terra e bruciandoli sul posto. Può crearsi il tiro da solo, elevandosi sulla testa dell’ala piccola opposta. Il sito specializzato nbadraft.net lo dà come possibile ottava scelta ai Pistons. Non vorrei sbagliarmi, ma ci credo poco. Nel senso che, ok, il mock draft e il draft in generale, non fanno esattamente parte della schiera delle scienze esatte. Ma così in alto Lyles? Non saprei. Ci sono gicoatori più pronti. La realtà è che almeno un altro anno di college come prima/seconda opzione offensiva gli avrebbe fatto non bene, benissimo. Nel 2016 si sarebbe potuto presentare come potenziale numero uno al draft. Altresì, resta un giocatore da lottery, ma sul quale scommettere troppo in alto potrebbe rivelarsi rischioso e poco redditizio nel breve periodo.
Devin Booker
Terzo e ultimo freshman dei Wildcats a dichiararsi per il draft, il figlio di Melvin (visto in Italia a Pesaro e Milan) è considerato la migliore shooting guard americana del draft (al numero uno c’è il croato Mario Hezonja). Titolare di un discreto 41.1% al tiro dalla lunga distanza, ha la mano e la taglia (1.98) per poter giocare nella NBA. Si prevede per lui, in un draft che premierà soprattutto point guards e lunghi, una scelta da lottery. Sarebbe la quarta su sette candidati dei Wildcats. Buon impatto difensivo, ha lo svantaggio di non aver mai giocato tanti minuti in maniera continuativa con i Wildcats. Nelle rare occasioni in cui è stato impiegato per più di 25 minuti, le sue percentuali sono scese e la sua presenza fisica nella partita ne ha notevolmente risentito. Il conditioning si può senza dubbio migliorare, ma la possibilità di vederlo diventare niente più che uno specialista nella NBA (opzione per la quale molti venderebbero l’anima al diavolo) è molto concreta. Ricorda un po’ Danny Green (ma con minore capacità nella stoppata della guardia degli Spurs) ma è impossibile dire sin da ora se sarà mai in grado di diventare un’opzione offensiva fondamentale in un attacco NBA.
Dakari Johnson.
Il centro di riserva dei Wildcats, dopo due stagioni in chiaroscuro e scarso minutaggio nelle gambe, ha deciso che un’altra stagione da riserva al college gli avrebbe fatto solo peggio. Fisicamente pronto per la NBA, ha il potenziale per diventare un buon lungo di rincalzo anche tra i pro. Non offre purtroppo un apporto difensivo adeguato ad un lungo che aspira ad essere uno starter. I Wildcats hanno però reclutato l’haitiano Skal Labissiere, e l’idea di non trovare spazio, ancora una volta, è risultata decisiva nella scelta di Dakari. Johnson sarà scelto, da qualche parte, tra la fine del primo giro e la metà del secondo. Un lungo con le sue caratteristiche fisiche e tecniche serve come il pane. È forse troppo grosso per poter rilanciare la sua carriera a livello europeo, ma è più che probabile che lo vedremo confinato nella D-League per tutto l’arco della stagione. Una squadra come i Bucks (che scelgono con la numero 46) potrebbe giovarsi volentieri del suo corpaccione.
I gemelli Harrison.
Veniamo infine alla più grande delusione degli ultimi due anni di college basket. Nel 2013 Andrew e Aaron Harrison erano visti come le principali combo guard reclutate al college. Oggi, invece, dopo due stagioni alla guida del backcourt dei Wildcats, il loro stock è visibilmente diminuito. Se Andrew conserva comunque diverse chance di essere scelto alla fine del secondo giro, Aaron si giocherà, probabilmente, tutto sulla summer league da undrafted. Nessuno, neppure nell’entourage degli Harrison, ritiene che Aaron verrà scelto. A differenza sua, Andrew è stato notato dai Cavs, alla disperata ricerca di un nuovo colpo alla Dellavedova (che addirittura non fu scelto al draft) per andare a rinfoltire il backcourt con giocatori dal fisico NBA e affamati di pallacanestro. Entrambi, in ogni caso, dovrebbero giocare nella D-League nella prossima stagione, con la speranza di aumentare il proprio valore agli occhi dei GM della NBA.