Continua il nostro viaggio nell' Nba, mondo colorato e variopinto che si prepara gradualmente ad allestire il grande palco per la parte più importante della stagione. I concorrenti non sono ancora decisi, ma la lotta per gli ultimi tagliandi disponibili fa lievitare lo spirito di competizione tra le diverse franchigie. Per qualcuna un vero e proprio sogno dal sapore titanico, per qualcun'altra la dura realtà dopo anni di primo piano nelle zone nobili del tabellone. Perché la vita è un enorme susseguirsi di emozioni e virate improvvise, l'importante è prenderne coscienza, facendosi trovare pronti.

BOSTON CELTICS

Non lo fa vedere, ma se la Conference è la Eastern e la distanza dall’ottavo posto non è così proibitiva, è quasi naturale (se non obbligatorio) pensare alla qualificazione postseason, specie se sei la franchigia più titolata della storia. I biancoverdi del Massachusetts ci sono: pronti a sgomitare per aggiudicarsi il biglietto più prestigioso della Lega e chiudere davanti alle altre pretendenti. Partite ad inizio anno ognuna con speranze diverse e adesso finite nella vivace contesa per gli ultimi due posti destinazione paradiso di Est. Nei Celtics abituati di recente a muovere il solo mercato in uscita, Isaiah Thomas, Jonas Jerebko e Gigi Datome sono le eccezioni che portano fiducia. I movimenti in entrata, che sorridono a coach Brad Stevens e al GM Danny Ainge, finora soddisfatti del loro piano – ricostruzione a lungo termine di Boston. La guardia ex Sacramento, al momento out per un problema alla schiena, si è immediatamente guadagnata le attenzioni della piazza, merito di una buona tenuta fisica ed un apporto realizzativo da far ammutolire capifila e teorici del “graduale/fisiologico ambientamento”. Meno minuti ma stessa soddisfazione anche per Jerebko, lo svedese che Ainge vorrebbe convincere a restare anche dopo la scadenza del contratto di luglio. Discorso a parte invece per Datome, arrivato con il ragazzo di Borås da Detroit, con una storia diversa alle spalle. L’ex Roma si sta togliendo di dosso la ruggine raccolta nei 15 mesi ai Pistons, dimostrando doti e qualità oscurate dal biennio Cheeks- Van Gundy. Stevens ci ha pensato un po’ prima di fargli assaporare il parquet, ma una volta in scena il lungo di Olbia ha risposto brillantemente sia in attacco, superando due volte la doppia cifra (10 e 13 punti), sia in difesa. “ Sono stato sempre sul pezzo, bisogna essere sempre coinvolti in quello che fa la tua squadra anche se sai che non giocherai – ha raccontato alla Gazzetta dello Sport – Questa maglia è qualcosa di speciale. Ogni volta che entro nell’Arena mi fermo a guardare i posti dove ho assistito alle finali del 2010 con mio fratello e un mio amico. Dalla tribuna ora sono sul campo. I Pistons? Ho subito delle scelte altrui che mi hanno fatto male. Anche in Italia ho dovuto far ricredere delle persone sul mio conto. A Detroit non era giusto che non giocassi mai, mai, mai. Ma far vedere che avevo ragione, è una cosa che devo soprattutto a me stesso. Il futuro? Sono concentrato sul finale di stagione. Lavoro per far capire cosa posso dare ". E dove questa Boston magari può arrivare…

CLEVELAND CAVALIERS

Vele spiegate dal vento del successo e dell’entusiasmo. Cleveland è tornata, o meglio ha raggiunto quegli standard che i pronostici sorti durante la preseason gli avevano affibbiato. Acquisite le imprescindibili certezze e trovati i giusti equilibri, quello di David Blatt è un gruppo in cui l’ottimismo regna sovrano, legittimato dai recenti e vigorosi trionfi su Dallas e sui campioni in carica. E se poi LeBron James frantuma i record di franchigia divenendo il miglior assistman di tutti i tempi (superata quota 4206 assist di Mark Price), Kyrie Irving rinnova le sue quotazioni di leader e uomo in più del quintetto con il massimo in carriera di 57 punti e 7 assist realizzato nel veemente duello della settimana con i San Antonio Spurs. Sfida cruenta e tra le più belle che si siano viste nel corso di questa stagione, in cui Cavs e Speroni hanno mostrato ottimo basket cadenzato da intensità e forte agonismo. “ E’ stata una grande prestazione, insieme ai miei compagni c’abbiamo creduto fino alla fine – ha affermato il giovane playmaker dopo la super serata – La mia prestazione? Ho capito che devi cercare di tirare sempre nella stessa maniera. La posizione è importante, io l’ho imparato da Kobe Bryant “. Nell’isola felice di Cleveland ci sono le capacità di J.R. Smith, inseritosi sin da subito nelle grazie dell’ ex tecnico del Maccabi Tel Aviv, dopo l’addio a New York. Il sesto uomo del 2013, è riuscito a calarsi perfettamente nella nuova avventura in Ohio. “ Qui mi sto divertendo come non mi era mai successo in carriera. Ho una player option a fine stagione, ma so cosa voglio dal mio futuro: mi piacerebbe rimanere, sperando di poter crescere ancora con questa squadra – ha svelato l’ex Denver – Il mio rapporto con James? Lo conosco da molto tempo, ma adesso che ho la possibilità di frequentarlo in maniera continua posso dire che è meglio di quanto potessi immaginare. “ Clima generale disteso insomma, sebbene le grane, ad essere attenti, non mancano. Kevin Love infatti non sembra poter giocare come vorrebbe. Questa volta non c’entra la convivenza sul parquet con LBJ, semmai quella con il mal di schiena che lo tormenta da novembre. Un problema rilevante che ne limita i movimenti: “ Non credo sia necessaria l’operazione chirurgica dopo la stagione per rimediare ai miei problemi. Ma trovare una soluzione prima della fase cruciale del campionato sarebbe importante. “

DALLAS MAVERICKS

A vederli ad ottobre facevano davvero paura. I Mavs, con le dovute eccezioni, erano indicati come i Cavaliers dell’ Ovest, non tanto per la campagna acquisti estiva, comunque valida, piuttosto per le sensazioni che provenivano dall’organizzazione. Qualche mese dopo, Dallas c’è ancora, l’operazione secondo anno di fila ai playoff è vicina, le loro quotazioni per il successo finale rimangono discrete (sempre con un occhio al contesto della W. Conference), ma i campioni del 2011 ultimamente non si sono risparmiati tonfi rumorosi e per certi versi inaspettati. Il dopo All - Star Game, ha presentato una squadra in leggero affanno con 6 vittorie nel giro di 12 gare. Un passo contenuto, anzi rallentato con la lunga assenza di Parsons, ora verso il completo recupero ed un Dirk Nowitzki in un marzo formato mini con percentuali dal campo sotto il 40 %. I Mavericks tornati a ruggire sui Clippers, chiudono una settimana chiacchierata, marcata dalla fragorosa lezione impartitagli da Cleveland. Il 94 – 127 riuscito ai Cavaliers sul terreno texano ha messo in mostra le proverbiali lacune difensive e lasciato qualche strascico nell’umore dei giocatori. Prova ne sono le parole di Amar' e Stoudemire alla stampa: “ Non possiamo permetterci certe prove. Abbiamo giocato senza determinazione, senza aggressività – ha detto l’ex Knicks dopo il ko – Sono venuto a Dallas perché voglio vincere il titolo e questa non è la strada giusta. Abbiamo giocato in modo passivo e non è normale, la postseason non è certa ed è inammissibile giocare così. “ Insoddisfazione che il cestista, assicurano i suoi compagni di squadra, aveva già espresso all’interno della Locker Room, trascinandosi sul sottile confine tra il ruolo di motivatore e quello di Primadonna isterica. Considerando il +30 inflitto a Chris Paul, al momento gli effetti appaiono positivi. Linfa nuova quindi, proprio sulla falsariga del battibecco di fine febbraio tra Rajon Rondo e l'allenatore Carlisle, che costò al playmaker un turno di sospensione. Nella fase cronica del caso, il rinnovo dell’atleta, in scadenza a luglio, sembrava utopico, i più maligni tratteggiavano all’orizzonte un’ imminente condizione da separati in casa tra tecnico e giocatore. Nulla di più errato, come testimonia un’intervista rilasciata la scorsa settimana dall'ex Boston e rapporto tutt’altro che ai ferri corti. E’ ancora presto per sancire i fiori d’arancio ma Rondo ha dato la sua disponibilità a restare. “ Perché non dovrei rifirmare? Io a Dallas sto benissimo. L’incomprensione con il coach è finita prima ancora di iniziare. Con Carlisle mi confronto moltissimo, parliamo spesso come mai mi era capitato in carriera con nessun tecnico. E questo rapporto mi piace molto “. Ricevuto l’ennesimo input da faccende collegate al suo stesso spogliatoio, i Mavericks sono chiamati a ripartire anche per ricominciare a fare paura come qualche tempo fa.

MIAMI HEAT

Puntare sui prodotti del draft? No grazie. Il GM dei Miami Heat, Pat Riley, non ha utilizzato mezze misure parlando di come dovrebbe essere costruita una squadra che punti a vincere. “Per me una squadra non si costruisce con le scelta al draft. Chi fa così vive una vita di miseria. – ha confessato ai taccuini di Bleacher Report - Se fai 3/4 stagioni perdenti di fila i tifosi iniziano a fischiarti. Quindi, chi è che vuole veramente percorrere quella strada? ” Non è la scoperta dell’ultim’ora, più volte i fatti hanno dimostrato che perdere appositamente per appropriarsi dei papabili futuri padroni dell’ Nba, non corrisponde necessariamente ad un avvenire radioso. “ Io ho sempre cercato di avere grandi giocatori nella mia squadra - ha aggiunto - e chi riesce ad avere tre stelle e dargli il giusto supporting cast è sicuramente avanti.” Avanti come sono stati i suoi Miami Heat nel quadriennio 2010 – 2014 con le altrettante partecipazioni alle Finals e la vittoria di due anelli. Quella Miami non c’è più, ma non per questo la franchigia della Florida ha smesso di combattere. Ridisegnati gli obiettivi, la squadra di Spoelstra lavora per garantirsi un futuro dopo la metà di aprile, cosciente dei propri mezzi. Nel mazzo di carte a disposizione del tecnico di origine asiatiche c’è si la qualità ed il talento del neo arrivato Goran Dragic e la seconda vita di Michael Beasley, ma l’assenza di Chris Bosh è una tegola che si riflette sulle prestazioni del campo e sul collettivo intero, orfano di uno dei suoi riferimenti chiave. I coaguli di sangue ad un polmone hanno interrotto la sua undicesima stagione Nba, ma non la sua carriera come inizialmente si era macabramente ipotizzato. “ Sapevo che sarei tornato a giocare, l’ho sempre saputo. Per un momento ho avuto paura, ma sono sempre stato uno ottimista – ha ammesso Bosh nel pre-gara di Miami-Boston durante il primo incontro assoluto con i media dopo settimane di controlli e riserbo - Adesso sto meglio, mi sento molto meglio. Voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno mostrato la loro vicinanza durante questo periodo. Spero di tornare a giocare presto. “ A movimentare la sfida con i Celtics, non c’è stato solo il ritorno alla vita pubblica di CB, ma anche la condotta di Hassan Whiteside (a gennaio Mister 14 punti, 13 rimbalzi e 12 stoppate - Chicago), finito di nuovo negli spogliatoi anzitempo, dopo la rissa della scorsa settimana con Alex Len, questa volta per una gomitata sul collo di Kelly Olynyk. Espulsione immediata e sospensione per un turno da parte dell’ Nba all’indirizzo di un giocatore non nuovo a problemi di self control, nonostante i 25 anni ne suggeriscano un modus operandi più maturo. Alle parole di scuse e quelle di rammarico pronunciate per quanto accaduto dal cestista, è seguito il monito di capitan Wade: “ Non è la prima volta che succede – ha detto la guardia - Mi dispiace molto, perché con questi atteggiamenti i problemi passano sulle spalle della squadra. Lui fa parte di questo spogliatoio ed è fondamentale capire che certi comportamenti pesano. Spero che lo capisca in fretta. “ Coach Spoelstra ha assicurato una maggiore attenzione verso Whiteside, rientrato nella Lega in punta di piedi dopo anni in D-League, e mai come ora artefice e padrone del proprio destino. Nel frattempo la franchigia della Florida ha deciso di confermare Henry Walker fino alla fine della stagione, dopo due contratti decadali.