Nella città di Washington, teatro, per tradizione, dei principali avvenimenti sociali e politici che hanno concorso a scrivere la storia degli Stati Uniti, c’è qualcos’altro oltre alla Casa Bianca, al Lincoln Memorial o al Campidoglio che rende orgogliosi i suoi circa settecentomila abitanti: lo sport. Non parliamo nello specifico di un’atleta alla quale la Capitale ha dato i natali o di una precisa squadra dominatrice in un settore, bensì della passione e del sentimento che unisce e forgia la comunità situata nel distretto della Columbia quando si parla di discipline sportive. Washington infatti può vantare il fatto di essere una delle poche città degli Usa ad avere all’attivo squadre sia maschili che femminili dei principali sport professionistici. All’appello risponde naturalmente anche il basket, rappresentato in ambito maschile dai Washington Wizards.

A SPASSO NEL TEMPO- Nati nel 1961 come Chicago Packers, i futuri Maghi cambiano pelle diverse volte: nel 1962 si fanno chiamare Zephrys, rimanendo però sempre di stanza nel

capoluogo dell’Illinois. Appena un anno dopo, decidono di spostarsi, stabilendosi a Baltimora, nuova vita, nuova carta d’identità: salutate i vecchi-nuovi Baltimora Bullets rinati dalle ceneri dell’omonimo team campione dell’ allora ABA del 1948. Il team nel frattempo si ambienta nella nuova realtà, ed i primi incoraggianti risultati arrivano qualche anno più tardi, con l’accesso per la prima volta ai playoff. E’ il 1965, il sogno titolo si interrompe nella finale di Conference. Questi sono gli anni dei primi cruenti duelli sull’asse Boston – Los Angeles, scontri tra titani che escludono ai “Proiettili” di poter ambire agli onori della cronaca cestistica americana. Nel 1967 giunge la svolta. I Baltimora sono reduci da un anno orribile: il valzer di allenatori sulla panchina ed un bottino di appena 20 successi stagionali, facilitano l’operato in chiave Draft. Esercitando la seconda scelta assoluta al primo giro, la franchigia guidata dal nuovo arrivato Gene Shue, si aggiudica un giovane playmaker proveniente dal Winston-Salem State University: Earl Monroe. Il ragazzo di Philadelphia promette bene e si sa che una promessa è una promessa. Al suo anno da rookie non delude le aspettative, i Bullets non arrivano nelle zona della classifica che conta, ma Monroe dotato di grande ritmo e tecnica porta a casa il titolo di miglior giovane della Lega. La squadra poi si rinforza, il Draft del 1968 consegna Wes Unseld, centro che irrobustisce e migliora il roster, i Baltimora ora possono tornare a sognare. A cavallo degli anni ’60 e ’70 la squadra partecipa per cinque anni consecutivi alla post-season dando vita ad un ciclo di aspri confronti con i New York Knicks. Nel 1971 viene sfiorata l’impresa, il titolo svanisce per un soffio, a favore dei Milwaukee Bucks di Lew Alcindor (do you know?), squadra meglio organizzata ed almeno un gradino sopra, in termini tecnici, alla banda di Shue che intanto congeda Monroe accettando una proposta di scambio avanzata dalla rivale di quei tempi; New York. Nel 1973 i Bullets cambiano casa ed allenatore. Dal Baltimore Civic Center dell’omonima città alla US Airways Arena di Washington. Nella nuova sede i Capital Bullets (divenuti un anno dopo i Washington Bullets) sono affidati a K.C. Jones. Nella stagione 1974/75 il team strappa ancora una volta il pass per le Finals, purtroppo però l’esito dell’annata non è differente da quello di quattro anni prima. I Golden State Warriors partiti con gli sfavori del pronostico, tramortiscono The Big E Eyes e co. Competitivi quindi si, ma non di certo vincenti. I vertici societari studiano allora un nuovo piano societario e alla vigilia della stagione 1976/77 preferiscono licenziare il longevo tecnico Jones, riponendo la propria fiducia in Dick Motta. Dopo un anno di transizione, con annessa la nona partecipazione consecutiva ai playoff, tra Baltimora e Washington, nel 1978 i Bullets volano in paradiso e conquistano l’agognato titolo di Campioni del Mondo Nba, battendo in un’ avvincente serie Finals i Seattle Supersonics. Il confronto tra le due squadre si ripresenta esattamente un anno dopo, stesso palco, stesso desiderio di successo, ma questa volta a prevalere sono i vinti della stagione precedente. La debacle coincide con la fine di un decennio nella quale i Bullets sono stati autentici protagonisti, gli unici dell’intero panorama Nba in grado di conquistare per ben quattro volte nella decade, il pass finale per l’anello. A partire dagli anni ’80 le cose cambiano, per l’Nba così come per Washington. Wes Unseld appende le scarpe al chiodo dopo tredici anni dedicati ai Proiettili, la nuova Lega intanto mira ad allargare prepotentemente il bacino dei suoi fans anche oltreoceano, i tempi della globalizzazione sono vicini. Si riapre il confronto vissuto negli anni ’60 tra Celtics e Lakers con due figure chiave dell’epoca: Larry Bird da una parte e Magic Johnson dall’altra. A certificare la rottura con il passato c’è anche la nuova formula dei playoff ora comprendente le migliori sedici squadre del campionato. Per la franchigia è un periodo complicato, vissuto all’ombra dei top team di quel tempo, chiamati a mostrare lo spettacolo e lo splendore della palla a spicchi statunitense a tutto il mondo. Le luci della ribalta tornano prepotentemente sugli Washington Wizards (così chiamati dal 1995, dopo aver constatato che l’appellativo “Proiettili” non fosse la scelta migliore, in un contesto

violento e segnato dalla criminalità come quello della Capital City di quel tempo ed ora di scena al Verizon Center) all’inizio del nuovo millennio. Quando, a 38 anni Michael Jordan decide di tornare a giocare a livello professionistico, dopo il secondo ritiro annunciato nel 1998, ripartendo proprio dai Maghi, squadra di cui era già azionista di minoranza e responsabile a livello dirigenziale. Washington vede riaccendere così le speranze di partecipazione ai playoff (ultimo accesso datato 96/97) ma la presenza del cestista più forte di tutti i tempi non può cambiare le sorti del team. I successivi anni sono tracciati dalla speranza di ritrovare “ un posto al sole “ nel basket statunitense che vale. Grazie ad un omonimo di MJ, Eddie Jordan, la squadra torna nel 2005 a calcare il palco della post season, quattro partecipazioni di fila che però non lanceranno mai Washington oltre il muro delle semifinali. Passano giocatori e coach così come altri anni di anonimato ai comandi di Flip Saunders. Poi l’approdo di Randy Wittman, finalmente aria playoff, ma nel 2014 sono ancora le semifinali a stoppare i Maghi.


STRADA FACENDO - Ripartire con maggiore entusiasmo, rientrare in pista con il desiderio di rendere orgogliosi i propri tifosi è la volontà dell’organizzazione. Nella stagione Nba che sta per prendere il via, (tutti pronti ai blocchi di partenza il 30 ottobre, orologio italiano) gli Washington Wizards sono una delle squadre maggiormente candidate a vestire i panni di protagonista. La squadra della Capitale, guarda alla prossima annata con grande fiducia e si affida ai punti cardini della scorsa season (coach in primis) sommando a questi, l’ingresso in squadra di nuove pedine tra cui Paul Pierce. Il biglietto per i playoff conquistato nella recente annata con la bellezza di 44 vittorie (mai gli Wizards così bene dal 2005) ha rilanciato le ambizioni di una squadra fermatasi al secondo turno ma volenterosa di riconfermarsi.

COSì WASHINGTON - Quintetto: John Wall, Bradley Beal, Paul Pierce, Hilario Nene, Marcin Gortat. Dando uno sguardo al quintetto base, le possibilità di volare in alto anche quest’anno non mancano, la dirigenza ha poi lavorato con grande coraggio ed attenzione nell’ultima parentesi di mercato, non lesinando rinnovi a cifre astronomiche e tentando di limare i limiti della squadra. Wittman sulla carta sembra così aver ad oggi una rosa tendenzialmente più completa rispetto al passato. Spicca su tutti il nome di Paul Pierce. Il cestista di Oakland che ha preso il posto di Ariza, chiuso il rapporto con i Nets, è arrivato all’ombra del Verizon Center con intenti chiari; portare la sua esperienza al servizio degli altri ed aumentare il livello tecnico della squadra. Il suo approccio al lavoro e la sua rigorosa disciplina, fungeranno da esempio per il resto del gruppo, molto giovane e mosso da tanta voglia di crescere e di imparare. Beal e Wall rispondono perfettamente all’identikit circa i potenziali discepoli dell’ex stella dei Celtics. Beal è la punta di diamante del roster, talento cristallino che nelle prime due stagioni ha impressionato per carattere e produzione offensiva dall’arco da tre. I 13.9 punti registrati nell’anno da rookie si sono rivelati una soddisfacente presentazione per il basket che conta, un trampolino di lancio che lo ha visto toccare i 17.1 punti nel suo secondo anno di regular season e sfiorare i 20 (19.1) nelle successive undici gare di playoff. Difficile però al momento sapere se Beal potrà esserci per l’inizio della stagione. Nell’ultimo test preseason infatti, il cestista ha rimediato un brutto infortunio al polso sinistro che, secondo fonti vicine alla squadra, dovrebbe costringerlo a ricorrere ad una operazione chirurgica con conseguenti tempi di recupero vicini ai due mesi. Se i rumors del momento venissero confermati, Wittman potrebbe tamponare l’emorragia, rispolverando dalla panchina Andre Miller, voglioso di tornare ai livelli di Portland, senza dimenticare né Garrett Temple e Glen Rice. Entrambi lontani anni luce da Beal ma dalla quale il tecnico si aspetta grandi cose. In attesa della piena maturazione (e guarigione) della guardia del Missouri, le redini del gruppo sono affidate senza dubbio a John Wall, capitano e faro sul parquet della squadra. L’infortunio che lo ha messo ko all’inizio di due stagioni fa, fece cadere in depressione l’intera piazza. A distanza di quasi un anno e mezzo, i numeri dell’ All Star 2014 ci suggeriscono di non biasimare l’allora reazione della tifoseria. Sempre più a suo agio nel ruolo in cabina di regia, Wall vorrà ripartire al massimo, anche per dimenticare la sua esclusione decisa da Coach K dalla spedizione USA vittoriosa al Mondiale di Spagna 2014. Se la chimica acquisita nella scorsa stagione tra Nene e Gortat consente poi al tecnico, di dormire sonni tranquilli, è la panchina ed il reparto dei lunghi a destare qualche perplessità. Con Humpries e Webster infatti che non potranno essere utilizzati nella prima porzione di campionato a causa dei loro rispettivi problemi a livello fisico. Per il primo il ritorno in campo è dipeso da un’operazione alla mano destra, mentre invece l’ala piccola paga dazio per un’operazione alla schiena.

IMPRESSIONI - Valutando complessivamente lo scenario che ci si pone davanti, è tuttavia legittimo riporre grosse aspettative nel plotone diretto da Wittman. Il fatto poi, di far parte della tutt’altro che competitiva Conference di Est, permette, almeno a parole, di designare Washington come una tra le più attrezzate squadre della costa Atlantica. Il titolo è certamente un traguardo difficile da tagliare per una serie scontata di fattori e soprattutto visto l’attuale calibro di alcune delle ipotetiche dirette avversarie, Cleveland e San Antonio su tutte. Solo il tempo ci saprà dire che tipo di squadra sia quelle dei Maghi, fuoco di paglia o grintosa contender? Ai posteri l’ardua sentenza.