La storia è fatta di date indelebili, che restano nel cuore e nella testa di ogni persona, e soprattutto dei tifosi. A Sacramento, California, il basket è quasi una religione e, non a caso, il sindaco, è un ex giocatore Nba (Kevin Johnson). Per questo, quel derby non lo dimenticheranno mai: perché una squadra così difficilmente si rivedrà, perché quella squadra avrebbe portato il titolo Nba per la prima volta nella storia nella capitale dello stato della California. Inoltre, vincere il Larry O’Brien trophy nella città sbagliata di quella lingua di terra infuocata avrebbe rappresentato quasi un miracolo. Il 2 giugno 2002 è la data che i tifosi dei Kings non dimenticheranno mai. Quel giorno all’Arco Arena si giocò l’ultima gara degna di essere chiamata tale per i re della California. Una gara 7 che, oltre a significare la vittoria della Western Conference, avrebbe assegnato indirettamente anche il trofeo più ambito. I Lakers di Kobe e Shaq vinsero quella gara, quella che segnava l’addio al basket che conta dei Sacramento Kings di Bibby, Stojakovic, Turkoglu, Webber , Divac, Bobby Jackson e Doug Cristie: dai pionieri e dalla febbre dell’oro di metà 800, uno dei momenti più eccitanti vissuti nella città californiana. Da allora 12 anni di buio: ed ora?

THE GREATEST SHOW ON COURT, IL PIU GRANDE SPETTACOLO VISTO IN CAMPO – La franchigia californiana nasceva dalle ceneri dei Rochester Royals, che aveva sede nella zona di New York (l’unica squadra tra Royals, appunto, e Kings che abbia vinto un titolo Nba, nel 1951); nonostante il titolo, la fama e la popolarità nello stato di New York era tutto per i Knicks e la franchigia si spostò a Cincinnati, nell’Ohio, dove il basket collegiale e la mancanza di squadre professionistiche Nba ne facilitarono l’inserimento. La squadra di Lovellette e Stokes (membro della Hall of Fame) a cavallo tra il ’55 ed il ‘57 era una delle favorite al titolo, ma non riuscì mai ad agguantarlo. Nel draft del 1960, con la prima scelta assoluta, i Royals fecero il colpo della loro vita: Oscar Robertson. Unico giocatore della storia Nba a mantenere per tutto l’arco della stagione '61-'62 una tripla doppia di media a partita: 30,8 punti, 11,4 rimbalzi e 12,5 assist. Nonostante questi numeri, non riuscì mai a trascinare la squadra al titolo, finendo poi la carriera nei Bucks dove vincerà il titolo nel 1971. Da Cincinnati la squadra si spostò a Kansas City, dove il nome della squadra fu cambiato definitivamente in “Kings”. Il decennio nello stato del Kansas, però, fu un flop nonostante la presenza sul parquet di giocatori come Nate Archibald e Sam Lacey, autentiche leggende della squadra, e della finale di Conference raggiunta nel 1981 tra lo stupore della nazione intera. Da quel momento, il passaggio a Sacramento e il lento costruire una squadra che ad inizio millennio stupì il Mondo intero. E come dare torto alla copertina di un magazine così blasonato come Sports Illustrated, che raramente sbaglia. Quella squadra, quel quintetto (Williams, Christie, Stojakovic, Webber, Divac) rappresentò l’inizio del biennio più glorioso da quando furono istituiti i Sacramento Kings (1985).

LA MIGLIORE STAGIONE DI SEMPRE ED IL TITOLO A PORTATA DI MANO – La stagione 2001-2002 verrà ricordata, dai Kings sicuramente, ma anche dai libri di storia della franchigia, come la migliore di sempre. Si, perché una squadra cosi, anche nel 51, nell’anno del titolo, non si era mai vista. 61 vittorie e 21 sconfitte (36 su 41 all’Arco Arena), ovviamente, è il miglior record di tutti i tempi della squadra di Sacramento, che migliorò l'ottimo 55-27 della stagione precedente. La squadra era allenata dal santone Rick Adelman ed in campo era trascinata, fisicamente ed emotivamente, da Chris Webber. Probabilmente quella squadra meritava qualcosa in più dei due titoli di Division vinti consecutivamente, e del titolo di Conference del 2001; ma, se l’eliminazione nei playoff del 2003 andò in archivio come un crollo emotivo e psicologico, quello dell’anno prima fece scalpore e non poco. La serie della finale di Conference del 2002 contro i Lakers, come già riportato, segnò l’inizio di una delle rivalità più accese della storia della Nba: all'Arco Arena si sono viste addirittura scene di roghi di divise dei gialloviola. Inoltre, a tenere banco, furono le polemiche arbitrali: molte recriminazioni da parte dei Kings che contestarono la tripla decisiva all'ultimo secondo di gara 4 segnata da Robert Horry, e i 27 tiri liberi fischiati a favore della squadra della Città degli Angeli nel quarto quarto di gara 7. Tutte queste "sviste" arbitrali fecero sorgere dei sospetti sulla serie; sospetti che si materializzarono quando Tim Donaghy, arbitro di quella serie, confessò che la lega costrinse gli arbitri a favorire i Los Angeles Lakers in gara 6 in modo da allungare i giochi fino a gara 7. Nonostante ciò sono in molti a pensare che questa serie sia una delle più belle della storia della NBA, per tasso tecnico, combattività, sostanziale equità tra le squadre ed episodi. Quei Kings, avrebbero vinto, così come fecero i Lakers 4-0 sui Nets, agevolmente l’anello. Ma questa, è un’altra storia.

LA DISCESA ED IL CROLLO – La ciclicità della storia, soprattutto del mondo Nba, quasi inevitabilmente ha fatto si che dopo essere stati ad un passo dal toccare il titolo con mano, i Kings cadessero in disgrazia. Dal 2003 ad oggi, undici anni di sconfitte, delusioni e pochissime apparizioni ai playoff. Da Bibby e Stojakovic si è passati ad Artest (si proprio Ron o Metta che dir si voglia) e Kevin Martin, per finire nel 2009 con una delle più deludenti stagioni di sempre: 17 vittorie, 65 sconfitte e peggior record della lega intera. Con Tyreke Evans, talento clamoroso che nella sua prima stagione in Nba mantenne cifre simili a quelle di LeBron James, si pensava che qualcosa sarebbe cambiato, ma non fu così. Altro record negativo ed altra speranza all'orizzonte: DeMarcus Cousins. La coppia Evans – Cousins faceva sognare i tifosi, ma i continui infortuni della guardia e i continui sbalzi d’umore e di prestazioni del centro, non ne favorirono i risultati. L’ultima stagione non è da meno; i Kings di Cousins hanno ottenuto ancora un record negativo: 28-54. Ma colpi come Rudy Gay e Derrick Williams nella scorsa stagione, ai quali si aggiunge Darren Collison quest'anno, potrebbero ridare nuova linfa ai purple permettendogli di tornare, se non ai livelli del 2000, a disputare una stagione quantomento dignitosa.

I NUOVI KINGS – Nessun colpo clamoroso nell’estate dei Kings. Il draft ha portato in California quel tiratore dal perimetro che tanto si aspettava dopo il fallimento di Jimmer Fredette: Nick Stauskas sembra ben altra cosa, molto più maturo e pronto all’uso. Darren Collison è, per ora, l’unico nuovo volto di rilievo della rosa, chiamato a far dimenticare, ma non sarà affatto facile, la partenza di Isaiah Thoams. Il play – guardia ex Clippers sarà nell’idea di coach Malone la mente che deve armare il braccio di Gay e Cousins, inevitabilmente il go to guy della squadra. Il quintetto sembra essere ben assortito con Collison, McLemore (atteso alla conferma dopo una buona stagione da rookie), Gay (rinnovato per un anno potrebbe sfruttare una buona stagione per strappare un buon contratto per la stagione successiva), Thompson e Cousins. Dalla panchina potrebbero uscire Landry, anche se le sue condizioni non sembrano delle migliori, i giovani McCallum e Stauskas, Williams, dal quale ci si aspetta quel salto definitivo verso la consacrazione, ed Evans, sempre utile per far legna quando necessario. La mancanza di profondità e di continuità di prestazioni e risultati potrebbe influire molto sulla stagione dei Kings, ma il talento non manca.

GO TO GUY - Tutto però dovrà passare dalle mani e dalle prestazioni di DeMarcus Cousins. La domanda ricorrente è quanto riuscirà ad essere dominante e trascinare i suoi compagni. Se la risposta dovesse essere positiva farà le fortune della sua squadra ed anche una discreta differenza. Il 24enne è reduce da una stagione da 22,7 punti e 11,7 rimbalzi di media ed ha il talento per diventare uno dei 3 migliori centri della Nba. Ma la testa non è ancora quella di una superstar. Il lavoro di Malone sul suo gioco e soprattutto sulla sua testa, inizia a dare i primi frutti. Dal 2010 quando è sbarcato nella Nba, il talentuosissimo centro uscito da Kentucky non aveva mai fatto registrare queste cifre, soprattutto con questa costanza. Il ruolo da uomo franchigia sembra averlo responsabilizzato e la convocazione con Usa Team per il Mondiale vinto in Spagna ne ha rafforzato la consapevolezza nei suoi mezzi e sulle sue possibilità. Un’altra stagione per la definitiva consacrazione, DeMarcus è pronto.

L’ALLENATORE – Dopo una solida carriera di vice allenatore durata circa vent’anni, Michael Malone si sentiva pronto ad intraprendere, come molti ex giocatori oramai, la carriera da solista. E dopo dodici anni di Nba vista come assistente a New York, Cleveland, New Orleans e Golden State, il figlio del più famoso Brendan, allenatore anche se per poco tempo di Cleveland e Toronto, è stato scelto come capo allenatore dei nuovi Sacramento Kings. Una prima stagione da non buttare via, ma nemmeno così esaltante. L’esperienza con Marc Jackson l’ha forgiato e preparato alle battaglie che avrebbe dovuto affrontare in solitaria, ma il carattere di certo non gli manca. 28-54 alla prima stagione è un record dignitoso ma senza particolari lodi,soprattutto se hai 40 anni e non hai uno squadrone da allenare. Al momento i maggiori successi di Malone da allenatore possono essere riconosciuti nel lavoro fatto sulla testa di DeMarcus Cousins, finalmente protagonista in campo, e nei progressi tecnici, e forse tattici, di Isaiah Thomas. La speranza, di Malone e dei Kings, è che lavorando su basi solide ed affermate (Gay, Cousins) si possano far crescere i talentini presenti nel roster della squadra: Stauskas, McCollum, McLemore e Williams ad oggi rappresentano una scommessa, che Malone ha tutte le intenzioni di vincere.

ALLORA, SI CORRE O NO? – Di sicuro i Kings che si affacciano alla nuova stagione Nba ricalcheranno lo stesso modo di giocare dello scorso anno. Oddio, modo di giocare e Kings nella stessa frase c'entrano poco: si correva e si tirava. Quindi, degna di una squadra di pistoleri, ecco la classica run and gun, utilizzata quando puoi mettere a disposizione della tua difesa tanto atletismo e dinamicità che ti porta a correre tanto in contropiede e provare a creare il più alto numero di possessi sperando che le percentuali al tiro ti aiutino. E a difesa schierata? Beh, lo scorso anno a difesa schierata i purple facevano tanta fatica; spesso si affidavano alle iniziative private di Isaiah che doveva salvare letteralmente capra e cavoli. In assenza del furetto passato ai Suns, il pick and roll tra Collison e DeMarcus è sempre una validissima alternativa, considerando che l'ex Clippers è un giocatore che ha tiro dalla media e lunga distanza, ma anche ottimo penetratore e catalizzatore delle attenzioni delle difese avversarie. In quest’ottica, l’utilizzo sul perimetro di sparatutto come Stauskas e Gay, e perché no anche McCallum e McLemore, potrebbe dare più frecce all’arco di Malone. Se poi tutte le opzioni dovessero miseramente fallire, c’è sempre l’isolamento in post per Cousins o esternamente per Collison.

OBIETTIVO: I PLAYOFF COME UTOPIA - Finalmente c’è una nuova coppia su cui costruire il futuro della franchigia. Ovviamente parliamo di DeMarcus Cousins e Rudy Gay. I loro punti e la loro esperienza, unita alla speranza di aver indovinato il sostituto giusto di Isaiah Thomas e l’aver aggiunto come comprimari giovani interessanti come McLemore, Stauskas e McCallum al puzzle, potrebbe far si che i Kings tornino ad essere una franchigia molto interessante da seguire fuori dalla lotta per il titolo. La finale di Conference di dodici anni fa è solo un ricordo lontano e irraggiungibile, ma la ricostruzione sembra andare nella strada giusta. E se dovesse funzionare tutto già il prossimo anno l’obiettivo delle 40 vittorie a fine stagione potrebbero non essere un miraggio. Un obiettivo di tutto rispetto che potrebbe ridare fiducia alla città e far tornare l’entusiasmo come ai tempi della corsa all’oro.