Una ricostruzione può durare qualche anno, 2 o 3 di solito. Quando però dopo un primo tentativo si disfa tutto e si riparte da capo, allora due domande bisogna farsele. Questo è il caso dei Philadelphia 76ers, che hanno smantellato una squadra più che buona per provare a rifare tutto. Via Holiday, Turner, Iguodala e Thaddeus Young, quattro giocatori interessantissimi che in Pennsylvania stavano trovando la loro dimensione, per portare a coach Brown tanti giovani che sono un enigma, come Embiid e Noel, visti gli enormi problemi fisici. Una sola garanzia: il Rookie of the year Michael Carter-Williams.
WILT, JULIUS E THE ANSWER - La storia dei Sixers non ha nemmeno bisogno di troppe presentazioni. Nati nel 1939 come Syracuse Nationals, sono diventati la franchigia che conosciamo oggi nel 1963, prendendo il posto dei vecchi Warriors (attualmente Golden State) nella città dell'amore fraterno, scegliendo il nome di 76ers in onore del fatto che nel 1776 proprio a Philadelphia si firmò la dichiarazione d'indipendenza. La svolta arrivò nel 1965, con l'acquisto di Wilt Chamberlain proprio dai Warriors: tre titoli di MVP in tre stagioni, e il titolo giunto nel 1968, secondo della franchigia, dopo quello del 1955. L'idillio dura poco: dopo la cessione di The Stilt ai Lakers, il baratro, con un picco negativo nella stagione 1972/73, chiusa con solo nove vittorie su 82 partite, ancora oggi minimo storico per la NBA. La risalita comincia nel 1976 con l'acquisizione di Julius Erving dai New Jersey Nets, eppure, nonostante tre presenze nelle Finals nei 6 anni successivi, non arrivò mai il titolo. Le cose cambiarono nel 1983, con un Moses Malone in più: 4-0 sui Lakers di Magic e Kareem e titolo che tornò a Philadelphia dopo 15 anni. Nella seconda metà degli anni '80 toccò al neo-draftato Charles Barkley reggere in piedi la franchigia, con buoni risultati: i Sixers furono una presenza fissa ai Play-off, fino al 1992, con la cessione della stella a Phoenix. Gli anni '90 furono anni negativi e di transizione, la squadra tornerà a raggiungere la post-season nel 1999, grazie a un giovane Allen Iverson, salito alla ribalta già da tre anni e che sarà l'MVP della stagione 2000/01, quando i Sixers arriveranno fino alle Finals, perdendo poi contro i Lakers. Dopo quella cavalcata, la franchigia della Pennsylvania non riuscirà più a ripetersi, e supererà il primo turno solo in due occasioni: nel 2003 e nel 2012.
UNA STAGIONE DELUDENTE - Dopo il restyling, anche subito in corso d'anno con la cessione di Hawes e Turner a metà stagione, Philadelphia chiude la stagione scorsa con solamente 19 vittorie, arrivate quasi tutte per altro nella prima metà di stagione, quando la squadra tutto sommato girava ancora decentemente: a Febbraio e Marzo sono invece arrivate 25 sconfitte su 26 partite giocate. Colpa di un roster improponibile, costruito con veri e propri scarti delle altre franchigie, come per esempio James Anderson e Henry Sims, oppure tanti giovani di dubbio talento (Hollis Thompson e Elliot Williams). Insomma, un disastro completo, aggravato anche dall'infortunio che ha tenuto fuori Nerlens Noel per tutta la stagione. Unica nota positiva è stata Michael Carter-Williams, Rookie of the year che ha provato a salvare l'anno dei Sixers con medie di 16,7 punti, 6,2 rimbalzi e 6,3 assist a partita. Cifre spaventose per un playmaker, e i paragoni si sono sprecati. Alla fine la squadra di Brett Brown ha chiuso al penultimo posto della Eastern Conference con un record di 19 vittorie e 63 sconfitte, terza peggior stagione di sempre dopo il 1973 (9-73) e il 1996 (18-64).
VIA YOUNG, DENTRO EMBIID - Pochi cambiamenti nel roster di Philadelphia nell'estate dei costless agent: diciamocelo, non è un ambiente comunque allettante per una star, visto il contesto di bassissimo livello. Lo spazio salariale è così ancora pieno, e contando che il contratto di Jason Richardson è (finalmente) in scadenza, le grandi mosse sono previste per l'anno prossimo. Intanto Sam Hinkie con la terza scelta assoluta ha scelto Joel Embiid, centrone di Kansas dal talento indubbio, ma dalla pessima tenuta fisica: la scorsa stagione non ha praticamente mai giocato per problemi alla schiena, e qualche giorno prima del draft ha subito un'operazione al piede che lo terrà fuori fino al nuovo anno. Insomma non il modo migliore di iniziare... A tutto ciò si è aggiunta la cessione di un giocatore chiave come Thaddeus Young, spedito a Minnesota in cambio di Alexy Shved e Luc Mbah-a-Moute oltre che una prima scelta al prossimo draft da Cleveland. Insomma, poca roba, anche se allo stato attuale entrambi potrebbero accumulare minuti importanti. Per il resto si punta sulle draft picks Jerami Grant e KJ McDaniels, prospetti interessanti su cui si può lavorare, oltre a Dario Saric, che però arriverà probabilmente il prossimo anno.
IL NUOVO QUINTETTO BASE - La certezza è ovviamente il playmaker, ovvero Michael Carter-Williams: ci si attendono miglioramenti nella gestione della palla, perchè 3,5 turnovers per game sono un po' tante, ma è un aspetto su cui si può lavorare. Nel ruolo di guardia la piacevole sorpresa Tony Wroten, autore di una tripla doppia al suo esordio in quintetto e di un career high di 30 punti contro i Jazz, e parliamo anche qui di un classe '93. L'altro esterno sarà probabilmente, almeno a inizio stagione, Hollis Thompson, che ha chiuso in crescendo la scorsa annata, ma senza sorprendere troppo. Occhio quindi ai Rookie: McDaniels e Grant chiedono spazio. Da ala forte vedremo in quintetto quasi sicuramente Luc Mbah-a-Moute, già starter in quel di Milwaukee, ma solo per la prima parte di stagione, ovvero quella in cui Joel Embiid sarà ai box. Una volta che il centrone rientrerà, toccherà a Nerlens Noel spostarsi da ala forte per fare spazio al Rookie camerunense.
LA (PROBABILE) STELLA: JOEL EMBIID - Sì, forse Carter-Williams si sarebbe meritato di più questo "premio", ma chi scrive stravede per la terza scelta assoluta dell'ultimo draft. Perchè se tre anni fa qualche africano fosse andato da uno scout NBA a chiedere cosa ne pensasse di Joel Embiid, questi avrebbe risposto con un probabile e classico "WHO?!". Già, perchè il centro camerunense ha preso in mano un pallone da basket per la prima volta molto recentemente, e dopo solo trentasei mesi circa dalla sua prima partita ufficiale, è stato chiamato con la terza scelta assoluta al draft. Com'è possibile tutto ciò? Sembra un film, ma non lo è. La straordinaria capacità di apprendimento di Embiid ha portato questo ragazzo ai massimi livelli in pochissimo tempo, complice le ottime gambe e i piedi veloci, ma non è tutto: il fisico di 213 centimetri per 109 kg, unito a un'apertura alare che sfiora i 230 cm, lo hanno reso uno dei migliori a lavorare sotto le plance, sia spalle a canestro che a rimbalzo, su entrambi i lati del campo. In più questo ragazzo sa correre in contropiede ed è un ottimo intimidatore difensivo, oltre ad avere un potenziale clamoroso. Punti deboli ne abbiamo? Ovviamente sì. Il primo è la sua troppa attitudine a commettere fallo, in particolare quando cerca la stoppata, oltre a lasciarsi un po' troppo trasportare dalle emozioni, ma quello che lascia più interrogativi è la tenuta del suo corpo, basti pensare che lo scorso anno a Kansas ha giocato pochissimo per continui problemi alla schiena, e che pochi giorni prima del draft si è operato al piede, il che gli farà perdere l'inizio di stagione. A Gennaio lo dovremmo vedere finalmente in campo, e la prova del nove è vicina. Per il momento dobbiamo accontentarci delle sue perle sul suo profilo Instagram, tramite cui confessa il suo amore sconfinato per Rihanna con svariati e divertenti fotomontaggi:
IL COACH: BRETT BROWN - Non è un brutto biglietto da visita quello di Brett Brown, head coach dei Sixers dalla scorsa estate, dopo 11 anni di onorata carriera a San Antonio, da assistente di un certo Gregg Popovich. Come ha fatto poi Budenholzer (Atlanta), Brown ha scelto di prendere la strada che lo portava alla carica massima sulla panchina di Philadelphia, lui che a San Antonio, prima di essere assistente, è stato anche dirigente, se così si può chiamare, nell'anno del primo titolo, il 1999. Seconda tappa di una carriera da allenatore che è cominciata in Australia, prima da assistente a Melbourne, poi da capo allenatore a North Melbourne, prima di altre due stagioni a Sidney. Nella NBA invece i Sixers sono solo la seconda franchigia con cui è al lavoro il classe 1961, che ha un passato da giocatore: è stato infatti ad alti livelli in NCAA, con Boston College, allenato da Rick Pitino. Ora, sappiamo che l'associazione-Spurs raramente perde di vista i propri "prodotti", c'è da capire ora se Brown è temporaneamente a Philadelphia per fare esperienza ed è già pronto il suo rientro in Texas da erede di Pop, oppure se il capitolo San Antonio è chiuso in definitiva. Fin'ora non benissimo diciamo...
IL NON-SISTEMA - Difficile per Brown dare un'identità di gioco a una squadra come quella dello scorso anno, in particolare quella della seconda parte di stagione. Nei primi 3 mesi quantomeno ci ha provato, utilizzando perlopiù quintetti piccoli, veloci e tutti composti da tiratori discreti, o meglio, attaccanti discreti. Insomma una riedizione mal riuscita del run-and-gun, tant'è che poi è stato disfatto tutto, e nella seconda metà di stagione non era raro vedere la soluzione offensiva "palla a MCW che qualcosa di buono lo crea". Che forse era anche l'unica disponibile. Ora con le due torri si dovrà cambiare quasi sicuramente, perchè Embiid e Noel sono due dei tre giocatori di maggior talento in assoluto nel roster. Siamo certi però che uno uscito dalla cantera degli Spurs non avrà troppe difficoltà a cambiare le sue idee.
LE ASPETTATIVE: TANKING? - Il non-mercato e la scelta di un giocatore che tornerà disponibile solo a Gennaio fanno pensare che a Philadelphia ci sarà da pazientare ancora un anno prima di veder la squadra veleggiare nelle zone medio-alte della Eastern Conference. Insomma, di Play-off quest'anno non se ne parla, soprattutto con Embiid fuori così a lungo. La squadra è giovane e di ottime prospettive, soprattutto se la fortuna conserverà intatte le due torri, e Carter-Williams, per quanto forte possa essere già ora, non sembra in grado di trascinare i poveri Sixers fino a un posto nella post-season. E l'anno prossimo si potrebbe tornare alla carica con un Saric in più, oltre che magari qualche costless agent interessante, visto che di spazio nel salary cap ce n'è parecchio.