Esaminando da vicino una maglia dei Cleveland Cavaliers si viene subito colpiti da una particolare cucitura interna al colletto. Si tratta di una semplice scritta, il motto selezionato dagli stessi Cavs: All for one. One for all

La citazione del romanzo di Alexandre Dumas appare quanto meno beffarda nei confronti di un team che ha vissuto il proprio, unico, momento di sfrenata popolarità quando vi militava LeBron James, il quale ,volente o nolente, monopolizzava l'ambiente ed alimentava il fascino dei Cavaliers all'occhio dei mass media.

Durante il regno di "King James" Cleveland è riuscita a lasciarsi alle spalle il titolo di peggior franchigia NBA ,all'epoca condiviso con i Clippers, sino a diventare una vera e propria moda mondiale; fatto testimoniato dalla "23" dei Cavaliers, nel 2004 la t-shirt Nba più venduta al mondo. Ovviamente il modello di eccezione non era altri che Lebron.

8 luglio 2010. 13.1 milioni di persone sono sintonizzate sui canali di ESPN. The Decision. LeBron James abdica al trono e decide di trasferire i propri talenti in quel di Miami, formando con Chris Bosh e Dwayne Wade “los tres amigos”. A Cleveland viene a crearsi una situazione a dir poco surreale. Le maglie con il 23 vengono letteralmente date in pasto alle fiamme ed inizia ad insorgere un odio viscerale nei confronti di LBJ.


22 Ottobre 2009. ESPNU. Si tratta del canale specializzato in College Sports di ESPN, sicuramente non ha il fascino di quella che verrà trasmessa fra duecentocinquantanove giorni sul canale maggiore eppure è in corso un altra decision. Lo schermo è diviso con un conduttore che, dopo aver posto la domanda su quale college frequenterà l'anno successivo, lascia tutto lo spazio al mezzo busto. Un ragazzo di origini chiaramente Afro-americane sfoggia un maglione total-white e sollevando un berretto blu annuncia al mondo intero che è pronto a frequentare Duke University. Kyrie Irving ha appena compiuto un passo decisivo verso la sua carriera NBA.



The Little Decision.

Eppure è impossibile parlare del ragazzo senza fare un excursus sul suo passato. La storia è quanto più possibile affine ai canoni tradizionali della commedia Made in Usa. Kyrie Andrew Irving nasce il 23 marzo 1992 a Melbourne, Australia. Nasce fuori dagli States in quanto figlio di Drederick Irving, all'epoca giocatore professionista in Australia per i Bullen Boomers e precedentemente miglior realizzatore nella storia della Boston University. Dopo due anni vissuti nella zona residenziale di Kew, la famiglia Irving sorvola l'oceano e si stabilisce a West Orange; nel New Jersey. Kyrie compie quattro anni ed una tragedia colpisce ragazzo, padre e la sorella Asia: Elizabeth, moglie di Drederick, muore a causa di una grave malattia. L'evento mina le sicurezze della famiglia, che viene aiutata dai fratelli di Irving senior per la crescita dei due bambini.

Altra tappa fondamentale nell'infanzia dell'australiano è l'11 settembre 2001. La data è sin troppo famosa al mondo intero. Drederick ha da poco cambiato lavoro, fino a pochi giorni prima lavorava alle Torri Gemelle di New York. Eppure la sorte vuole che si trovi nelle vicinanze, sta uscendo dal complesso del World Trade Center quando l'aria subisce un cambiamento repentino. Una frazione di secondo dopo un rumore è udibile in ogni angolo di Manhattan, il boato segna l'impatto fra i primo aereo di linea ed una delle torri. Schegge di vetro iniziano a scendere dal cielo, cadono da 300 metri di altezza e sembrano neve che esce dal cratere di un vulcano. Drederick ha una prima reazione di sbigottimento. Non capisce. Dopo pochi secondi fa l'unica cosa che una persona può fare. Corre. Corre e non smette sino a che arriva a casa, dove trova Kyrie e Asia i quali lo attendono da 6 ore, sfiniti quando ormai lo vedono arrivare illeso. Si è salvato dal terribile attentato, non può che ringraziare il Destino.

Drederick cerca di coltivare il talento del figlio, che intuisce cristallino, per la pallacanestro. Secondo le parole dell'ex-Boston il figlio a soli 13 mesi aveva tale padronanza da riuscire a palleggiare senza nemmeno degnare di uno sguardo la sfera: predestinato. A 9 anni il ragazzo viene fatto salire in macchina dal papà. Il vecchio lo porta nella vicina New York City e lo accompagna al playground: vuole testare le capacità del figlio. Kyrie è di un altro livello, eppure non riesce a giocare come vuole e si scontra contro un muro. I trashtalkers. Irving è un ragazzo mentalmente ancora fragile, e le parole degli avversari ne feriscono l'autostima, dopo 60 minuti di gioco il padre lo prende. Ha visto abbastanza. Lo ricarica nuovamente in macchina e ci parla. 90 minuti in cui Drederick cerca di plasmare la psiche del pargolo, che oggi si definisce talmente sicuro e competitivo da cercare di distruggere l'avversario ogni volta che calca un parquet. Quando viene interpellato sull'accaduto il mentore risponde in maniera concisa e diretta: sapevo che era destinato a grandi cose.

Kyrie frequenta Montclair Kimberley Academy negli anni da freshman e sophomore per poi "trasferirsi" alla St. Patrick High School, dove giocherà al fianco di Michael Kidd-Gilchrist. in questi anni Irving ha una sua personalissima routine: sveglia, scuola e sfide al campetto uno contro uno con il padre. A 16 anni Kyrie è capace di battere Drederick,quarantaduenne ex-stella del college a stelle e strisce, ripetutamente 15-0. È pronto per il prossimo step.
Al termine del liceo e dopo aver già annunciato la propria scelta di prestare i propri talenti a Duke University Kyrie Irving è universalmente riconosciuto come uno dei talenti più puri dell'intero panorama USA come dimostrano le varie classifiche stilate al tempo dai vari scout: l'aussie si piazza #4 su ESPNU Top100 e #2 nel rank di Scout.com, mentre per quanto riguarda la posizione di PG non ha rivali.

A Duke l'avventura parte in maniera più positiva, coach Mike Krzyzewski gli affida le chiavi dell'attacco ed il freshman inanella ottime prestazioni. Vanta 17.4 punti a partita realizzati con il 53.2% dal campo, al netto vanno aggiunti 5.01 assist, 3.8 rimbalzi e 1.5 rubate ad allacciata di scarpe. A fare da ciliegina sulla torta è la superlativa prestazione da 31 punti contro Michigan State, all'epoca rank #13 della nazione. L'idillio è però costretto a prendersi una pausa, durante il nono incontro di stagione ,che vede confrontarsi Duke e Bradley l'australiano si infortuna all'alluce del piede destro. La rincorsa di Irving al premio di freshmen of the year subisce una brusca frenata. Il 10 dicembre il piede viene ingessato e rimane tale fino al 4 febbraio dell'anno successivo, data che segna l'inizio della riabilitazione del giovane. Il 17 marzo Irving è pronto a tornare in campo, Duke è attesa dal primo match nel torneo NCAA contro Hampton ed avrà a disposizione il proprio playmaker. La corsa al titolo dei Blue Devils si interrompe malamente alle sweet sixteen , dove una prestazione da 28 punti 3 assist ed una rubata di Kyrie non si rivela sufficiente per superare gli Arizona Wildcats di un Derrick Williams da 32 punti e 13 rimbalzi che presto si ritroverà fianco a fianco con l'australiano nella green room del draft. La carriera collegiale del ragazzo è terminata.



Duke-Kyrie Irving

Irving è ormai un giocatore maturo dal punto di vista cestistico, nonostante possieda enormi margini di crescita ha già mostrato le proprie caratteristiche principali, e i suoi exploit nelle poche gare giocate sono stati sufficienti per ingolosire la platea dell'NBA. Veloce e incontrastabile in transizione, discreto difensore con ottimi spostamenti laterali, tiratore sublime con percentuali stratosferiche in stagione: 53-45-90 e QI cestistico superiore alla media, gli unici dubbi che rimangono sono relegati alla salute e ad un eccessivo egoismo nei momenti in cui segna canestri in sequenza.

Contemporaneamente alle vicissitudini collegiali di Irving la fortuna decide di aiutare i Cleveland Cavaliers, i quali proprietari di un invidiabilissimo record di 19-67 avrebbero in teoria la seconda scelta, alle spalle dei Minnesota Timberwols autori di una stagione da 17-69. La dea bendata, però, è tanto cieca quanto umorale, i Cavaliers ottengono la quarta scelta grazie al proprio seed ma riescono ad avere comunque la prima pick grazie ad uno scambio realizzato precedentemente con i Clippers, i quali si presentavano al sorteggio delle palline con l'otavo record negativo di stagione e l'irrisoria percentuale di 0,28% .
Destino.

23 Giugno 2011. Prudential Center di Newark, New Jersey, il luogo dove Irving è cresciuto ed è diventato ormai un uomo. L'arena è assiepata in ogni ordine di posto e nel pubblico qualcuno già sventola la maglia numero 1 di Duke. Nella green room si addensano le tensione e le paure di una decina di giovani che temono un improbabile sliding, una caduta nelle zone basse del draft. Con la #1 chiamano i Cleveland Cavaliers, 8 anni dopo la scelta di LeBron James. David Stern emerge dal dietro le quinte, si avvicina al palco è parla:
<<With the first pick in the 2011 Nba Draft; the Cleveland Cavaliers select...Kyrie Irving from Duke University>>
Numero #1...predestinato.


With the first pick...

Nell'estate che precede il training camp arriva un altra tappa fondamentale per Kyrie Irving. 6,4 piedi. 1,91 m. Traccia il segno nella sua cameretta ed osserva le varie linee che si trovano sul suo muro. La più vecchia è datata 2003. Ha finalmente superato il padre (6 3/4). Il primo desiderio che aveva da bambino si è realizzato, il secondo è pronto a essere vissuto. L'Nba non può più aspettare.

Debutta alla Quick Loans Arena, la tensione si fa sentire e ferma Kyrie ad un rivedibile 2/12 dal campo, unica nota positiva sono i 7 assist al netto di una singola persa, il ragazzo la sa passare e rendersi comunque utile nelle serate no. Rapidamente il ragazzo si rifà ed ottiene successi e favori dalla critica. Viene eletto MVP del Rising All-Star Challenge grazie ad una prestazione da 34 punti ed un fantascientifico 8/8 da tre punti. Al termine della stagione Irving ha vinto tre volte il premio come rookie of the month, viaggia a medie da 18.5 punti e 5.4 assist ad allacciata di scarpe, un carrer high da 32 punti segnati contro i NewJersey Nets (coincidenza?) e viene eletto con centodiciassette voti su centoventi disponibili rookie of the year.

Prima del termine della stagione la PepsiCo comunica di aver trovato in Irving il proprio testimonial di punto nel settore cestistico e pubblica su YouTube un video che ne sancisce la partnership. Nella réclame l'australiano interpreta la parte di un anziano, vecchia stella del basket college americano, che decide di riproporre i propri talenti sui campi asfaltati dei playground statunitensi. Il personaggio riesce ad inserirsi nelle partite tramite un finto infortunio subito da un complice. In un primo momento alterna airball a mattonate che minano alla sanità del tabellone, ma quando smaltisce la ruggine i banali errori vengono sostituiti da conclusione da metà campo, crossover ubriacanti e imperiosi alley-oop. È nato un fenomeno virale. È nato Uncle Drew.


Too Easy.

Alla seconda stagione Irving è universalmente riconosciuto come una star NBA. Ha guadagnato un enorme potere mediatico tramite gli spot con la Pepsi, è diventato un uomo della Nike e viene da una stagione da record per un rookie. I Cavaliers sembrano pronti per ritornare a disputare i play-off, situazione impensabile all'indomani della prima decision. Durante la stagione la giovane stella guadagna il titolo di All-Star e continua ad aumentare la propria fama nel mendo cestistico. Nel week-end degli All-Star, palconscenico fondamentale in quanto calamita per un week-end tutte le attenzioni del mondo della palla a spicchi, Drew segna 32 punti nel Rising Star Challenge, si aggiudica la gara del tiro da 3 con 23 punti dopo un iniziale 17/18 e debutta nella gara della domenica con 15 punti 3 rimbalzi e 4 assist. Eppure la stagione si rivela disastrosa dal punto di vista dei risultati di squadra, un ennesimo infortunio ferma Irving alla soglia delle 59 partite, ed i Cavs privati del proprio deus ex machina concludono la stagione con il secondo peggior record della Lega.
Le statistiche personali invece subiscono tutte un incremento sino a diventare 22,5 punti, 5,9 assist e 3,7 rimbalzi per match.


La stupefacente ed irreale prestazione dello "Sniper" Irving

Nel 2013/14 Irving inizia la propria miglior stagione deciso ad acciuffare i play-off. Si mostra come un giocatore più maturo, capace di aumentare ancora le proprie stats, e dopo un primo momento di appannaggio in cui figura una virgola alla casella punti, frutto di uno 0-9 dal campo ed uno 0-3 dai liberi in quel di Atlanta, vendicato con un quarantello nella sfida successiva contro gli Hawks, inizia a segnare ed a servire i compagni con regolarità; tanto da guadagnare il premio come miglior giocatore della settimana per l'Ovest il 16 dicembre. Ad oggi Irving ha medie da 22 punti e 6.1 assist; ma gli elementi che colpiscono all'occhio sono l''aumento del rateo assist/TO da 1.83 a 2.11, le 4 doppie doppie messe a referto in 32 match, quando nei precedenti 110 incontri l'australiano si era fermato a soli cinque 10+10 ed una nuova dimensione difensiva acquisita dal giocatore anche grazie ai rigidi dettami di coach Brown, capace di rendere le proprie squadre tanto diligenti in difesa quanto anarchiche nella fase offensiva.

Eppure precedentemente a quest'annata ,più precisamente all'alba della stagione 2013/14, iniziano ad insorgere dubbi sul giocatore australiano. In primis sembra essere troppo incline all'infortunio, e l'aver saltato il 25% delle partite disputate dalla lega nelle sue prime due stagioni inizia ad essere una critica che il playmaker si sente rivolgere sin troppo spesso. Oltretutto Irving viene tacciato di essere un hero-ball, e quindi di tendere ad isolarsi dai compagni nei finali di partita per dimostrare di poter vincere il match da solo, un difetto che gli era già stato affiancato nella fase di scouting per il draft.

Ovviamente entrambe le affermazioni hanno un fondo di verità, eppure, vengono contemporaneamente amplificate dai precedenti record negativi della squadra. Difatti se si vanno ad analizzare gli infortuni occorsi al play si nota come siano principalmente frutto del caso. Sicuramente l'essere una figura ""esile" nel mondo super-atletico dell'NBA porta forzatamente a subire i contatti, eppure la rottura di una mano o delle dita di un piede sono situazioni differenti da problemi cronici e quindi impossibile da prevenire e, conseguentemente, frutto del caso e della sfortuna. Dal punto di vista "Clutch" Kyrie nel quarto quarto conclude mediamente 5.3 volte a canestro realizzando con il 43.2% mentre Damian Lillard, che si sta affermando come uomo degli ultimi minuti, ha una media del 42.1% sulle 4.7 conclusioni mediamente cercate. Per par condicio bisogna anche mostrare come Irving tiri con il 34.8% da tre a differenza di Lillard che può vantare un ben più notevole 41.7%, eppure affibbiare a Drew il titolo dispregiativo di hero-ball appare sin troppo esagerato, complici anche gli 85 punti segnati negli ultimi cinque minuti delle 18 partite disputate dai cavs nel quale il risultato fosse in dubbio. Dall'altra parte della barricata Lillard ha realizzato 74 punti in 22 incontri.

Oltrettuto le scelte di Irving sono spesso logica conseguenza delle sue statistiche, che lo pongono terzo nella classifica dei "Pull Up Shots" , i cosidetti tiri dal palleggio che vengono effettuati da una distanza fra tiratore e canestro pari o superiore a 3 metri. Il play nella corrente stagione ne ha realizzati 272, e nelle situazioni in cui sfrutta questa "arma" posteriormente alla linea dei tre punti segna il 44.7% delle volte, cifra superiore a qualunque giocatore che abbia tentato almeno 140 Pull up Shots.

Sicuramente Irving è un giocatore ancora incompleto e che necessariamente deve limare i propri difetti, così da diventare un degno erede di LBJ, ma uno così lo vorremmo sempre in squadra. Perché quelli come lui il destino lo cambiano e lo modellano a proprio piacimento.